Un sequel animato sul grande schermo è un’eccezione che Disney non si concede spesso: il successo del primo Frozen è però stato tale da non dare adito ad alcun dubbio. Complice anche un paio di storyline lasciate volutamente in sospeso, in relazione alle origini dei poteri di Elsa ed alla misteriosa morte dei genitori suoi e di Anna, Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle riesce ad essere un film non solo credibile e ben dosato, ma anche denso di epicità quanto il primo capitolo delle avventure di Anna ed Elsa. Forse, in alcuni punti maliziosamente montati ad arte, arriva addirittura a superarlo.
La nuova impresa in cui le due protagoniste sono costrette a cimentarsi non mostra all’orizzonte nemici ben definiti da sconfiggere: gli avversari di Anna ed Elsa sono stavolta il passato e le responsabilità dovute alla crescita, in un percorso di maturazione che porta entrambe alla riscoperta di loro stesse. Al centro della scena l’amore delle due sorelle l’una per l’altra primeggia ancora come nel primo Frozen, ma stavolta l’accento posto sui personaggi è più profondo e ricercato: non solo Anna ed Elsa, ma anche Kristoff e addirittura il pupazzo Olaf arrivano a mostrarci nuove sfaccettature del loro carattere, nel corso di un viaggio che dietro la metafora fisica diventa chiaramente psicologico.
La vicenda prende le mosse dal più grande interrogativo rimasto ai fan di Frozen: da dove arrivano i poteri di Elsa? La risposta, come sopra accennato, è legata ad un segreto nascosto nel passato della storia del regno di Arendelle, che sebbene si mostri più come un pretesto per la crescita personale di Anna ed Elsa e soprattutto come strumento necessario per la agognata auto-accettazione di sé stessa da parte di quest’ultima, riesce a non scadere nel banale e a reggere sulle proprie spalle l’intera storia.
Sulla fattura tecnica di Frozen 2 possiamo quasi glissare: parlare dell’altissimo livello dell’animazione raggiunto da Disney pare ormai quasi pleonastico, anche se un accento va posto su una scelta dei colori davvero perfetta e soprattutto sulle straordinarie sequenze coreografiche che accompagnano le canzoni di Elsa e di tutti i protagonisti. E proprio le canzoni sono, ancora una volta, le protagoniste assolute, nonché la componente migliore, del film.
Into the Unknown, sicuramente la canzone più rappresentativa del film, ha tutte le potenzialità per superare il successo incredibile che ebbe Let it Go nel 2013; anche la versione italiana, interpretata magistralmente da Serena Autieri, rasenta la perfezione, mentre la versione più “rock” che accompagna i titoli di coda (in italiano cantata da Giuliano Sangiorgi, frontman del gruppo dei Negramaro) aggiunge una nota inedita al prodotto finale.
Il pezzo più particolare e divertente è invece rappresentato dalla canzone solista di Kristoff, il cui personaggio si ritaglia un momento amarcord ricalcato di peso sulle ballate romantiche soft rock degli anni ’80, a metà fra l’epico ed il parodistico: fra primi piani e sequenze da teen idol, lo spettatore potrebbe rimanere quasi spiazzato da Lost in the Woods, che rivela il lato più vulnerabile di un personaggio che, secondo i “vecchi” canoni Disney, sarebbe dovuto essere completamente diverso.
E’ tramite le varie canzoni soliste che i 4 protagonisti principali (Anna, Elsa, Kristoff e Olaf) esprimono a sé stessi le proprie ansie e preoccupazioni, affrontando i problemi di una maturazione che, seppur in parte spaventosa, è inevitabile quanto positiva.
Proprio come accade durante il primo Frozen e più nello specifico a livello anche grafico e visivo durante la sequenza legata a Let it Go, con Elsa che scopre una nuova sé stessa proclamandosi solitaria sovrana dei ghiacci, la regina di Arendelle in Frozen 2 tenta di trovare una nuova dimensione, con tutto ciò che questo comporta. Senza spoilerare nulla sulla riuscita o meno del suo fine e sulle conseguenze che ne deriveranno, vogliamo sottolineare quanto la figura di Elsa acquisti una epicità ancora maggiore che in passato: la sua immagine in groppa ad un cavallo acquatico toglie letteralmente il fiato, ed è destinata a divenire iconica quanto i suoi poteri.
E’ quasi incredibile quanto la componente umoristica di Frozen 2 sia perfettamente adattata al contesto: in larga parte grazie alla intelligente concezione del personaggio di Olaf, cui si può permettere una continua sdrammatizzazione degli eventi senza che questi perdano parte della loro profondità od importanza, ma anche sulla falsariga di una ironia autoreferenziale che Disney sembra sempre più abbracciare e fare propria (emblematico ad esempio il caso di Timon e Pumbaa nel live-action de Il Re Leone nella sequenza relativa ai “gas” del secondo). In un momento del film infatti, Olaf tenta di riassumere gli eventi del primo Frozen, che risultano in una scena comica davvero esilarante.
D’altro canto, non mancano invece i momenti assolutamente commoventi: la pellicola dosa saggiamente entrambi gli aspetti, che sviluppano un equilibrio perfetto.
Il tema principale del film torna ad essere l’amore, soprattutto quello fraterno fra Anna ed Elsa ma anche, seppure in maniera più marginale, quello fra Anna e Kristoff. Accanto a questi, si ritagliano il giusto spazio tematiche relative alla salvaguardia ambientale, al rispetto per il diverso e sopratutto al sacrificio che comporta “fare la cosa giusta”.
Chi si aspettava invece una svolta romantica per Elsa, anche alla luce del tam-tam mediatico sviluppatosi attorno alla sua possibile omosessualità, potrebbe rimanere deluso. Elsa è alla ricerca di qualcosa di diverso dall’amore romantico in entrambe le pellicole che la vedono protagonista: non c’è – ancora – spazio per sentimenti di “quel tipo” nel suo cuore, che essi possano essere rivolti ad un uomo o ad una donna. Anche se forse, leggendo fra le righe, potrebbe essere rinvenuto un qualche accenno degno di essere ripreso in un futuro Frozen 3…