Fortemente voluto dal produttore e protagonista Mark Ruffalo, il dramma civile diretto da Todd Haynes racconta la storia vera di Robert Bilott, avvocato associato con le industrie chimiche che decide di far causa al colosso DuPont dopo la scoperta dell’avvelenamento delle acque della sua cittadina d’origine, Parkersburg nel West Virginia. Una battaglia legale iniziata nel 1998 e che attualmente non si è conclusa, ma per cui l’uomo combatte ancora.
Rispetto alla filmografia precedente di Todd Haynes Dark Waters rappresenta qualcosa di totalmente diverso, un progetto che necessitava un approccio estetico molto più contenuto rispetto all’eleganza di grandi film da lui diretti come ad esempio Io non sono qui o più recentemente Carol. Questo però non impedisce all’autore di costruire un inizio di film davvero impressionante a livello visivo: finché la storia non si addentra pienamente nella vicenda di Bilott e della sua causa civile, Haynes si concede dei momenti di cinema visivamente preziosi, dovuti principalmente a tagli di inquadrature che rappresentano con metaforica lucidità lo scarto tra i palazzi dove vengono prese del decisioni importanti e l’America più rurale, che tali decisioni deve “subirle” senza possibilità o quasi di ribellarsi alla loro iniquità. Man mano che il protagonista si addentra nel dramma degli allevatori e degli agricoltori la cui vita viene distrutta dall’inquinamento illegale della DuPont, rischiando al tempo stesso di rovinare la sua vita personale, Haynes sceglie un tipo di regia sempre più asciutto, lasciando che sia la fotografia livida e autunnale del grande Edward Lachman – candidato all’Oscar per Lontano dal paradiso e Carol – a immergere lo spettatore in un dramma intenso, coraggioso nel mostrare tutto il dolore degli esseri umani oltre che la loro fierezza. Dark Waters è infatti un film senza eroi, soltanto persone che tentano di fare la cosa giusta e ne pagano le conseguenze, fisiche e soprattutto psicologiche. Sotto questo punto di vista Mark Ruffalo è impareggiabile nel rendere il suo Rob Bilott un uomo senza qualità se non la sua tempra morale. Il personaggio viene presentato e sviluppato al pubblico in tutta la sua verità: difficile da amare eppure totalmente da abbracciare, devoto alla sua causa e trascinato da una forza interiore che mai si tramuta in retorico eroismo. Accanto all’attore risultano molto efficaci anche Anne Hathaway, Tim Robbins e Bill Camp, anche se in ruoli in qualche modo maggiormente stereotipati.
Il cinema di impegno civile è uno dei generi in cui l’industria dell’entertainment americano si distingue maggiormente rispetto agli altri Paesi. Dark Waters si inserisce in questo filone rispettandone le coordinate narrative con precisione, magari anche senza eccessiva originalità, ma con un’adesione emotiva alla vicenda messa in scena davvero impressionante. Todd Haynes non ha facilitato il compito al pubblico, tutt’altro: lo ha reso partecipe doloroso di cosa significhi battersi contro colossi economici come la DuPont. La rappresentazione del potere nel suo film è lugubre, logorante, fatta di attese per un verdetto che possono durare anni. Dark Waters diventa così una riflessione amarissima sullo stato civile dell’America contemporanea, retto dal profitto e per nulla interessato al benessere del cittadino comune.