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Brittany non si ferma più, una commedia sul corpo e la sua percezione

Pubblicato il 11 novembre 2019 di Lorenzo Pedrazzi

Mentre Hollywood continua a prediligere le storie di individui eccezionali, tocca al cinema indie raccontare le battaglie della gente comune in ambienti riconoscibili, dove sprazzi di vita quotidiana si riversano sullo schermo (e viceversa). Il fatto che Brittany non si ferma più sia ispirato alla reale vicenda di Brittany O’Neill, amica del regista Paul Downs Colaizzo, non sorprende affatto: nella sua storia c’è una componente di “normalità” che facilita l’identificazione, attira l’empatia e apre le porte a un discorso più ampio, di natura collettiva.

Jillian Bell, attrice comica ed ex sceneggiatrice del Saturday Night Live, interpreta la ventottenne Brittany Forgler, che vive a New York e lavora come maschera in un teatro off-Broadway. Sovrappeso, abituata ad abusare di alcol e Adderall, Brittany campa a fatica senza grandi ambizioni, almeno finché il medico non le intima di dimagrire per ragioni di salute. La palestra costa troppo, quindi la soluzione più economica è rappresentata dalla corsa. Nessuno la prende sul serio – nemmeno Gretchen, la sua attraente coinquilina che cerca di diventare influencer – eppure Brittany non demorde, e mette un piccolo passo dietro l’altro: prima completa il giro dell’isolato, poi si unisce a un gruppo di corsa con la sua vicina Catherine e conosce Seth, un padre che tenta di rimettersi in forma. I tre si pongono l’obiettivo di correre la maratona di New York, ma Brittany deve prima vincere le sue insicurezze e i pregiudizi che la circondano.

Percezione e dispercezione del corpo sono il nucleo attorno al quale Colaizzo costruisce la sua storia, nonché gli strumenti privilegiati per comunicare con il pubblico. La scena in cui Brittany esce per la prima volta con il suo abbigliamento da corsa improvvisato, circondata dalla vitalità di Brooklyn, è emblematica: la protagonista vede il proprio corpo riflesso sul carretto di un venditore ambulante, sente gli occhi dei passanti su di sé, e torna immediatamente a casa in preda allo sconforto. L’esordiente regista americano è bravo a cogliere questa sfumatura psicologica, facendo coincidere lo sguardo della macchina da presa con quello di Brittany. La donna è infatti abituata a una certa immagine di sé, influenzata dai preconcetti esterni: è grassa, quindi ritiene di non poter essere attraente, desiderabile, femminile. Gli uomini non le tengono aperta la porta, e con lei si lasciano andare a discorsi che non pronuncerebbero mai vicino a una donna. Questo è ciò che le comunica il mondo, e lei ne interiorizza le storture mentali sino a farle proprie. Rispetto ad altri feel good movie, Brittany non si ferma più è ben più onesto nel mettere in scena il conflitto tra pubblico e privato: i media, la società, persino gli amici, tendono a inquadrarti in uno stereotipo dal quale è difficile emanciparsi. Brittany è “solo” la ragazza simpatica e sovrappeso, il giullare della situazione, il comic relief della compagnia, e non può ambire a niente di più.

Liberarsi da questa gabbia richiede uno sforzo immane, e lei stessa finisce per autosabotarsi in varie occasioni (esemplare anche la scena dell’appuntamento con il tizio di OK Cupid: Brittany è ormai cambiata, ma ancora fatica a vedersi come una donna che suscita desiderio, e che può vivere una situazione di romantica intimità con un uomo). Colaizzo riesce peraltro a rendere universale una vicenda solo apparentemente molto personale, esaltando diversi tratti peculiari della generazione millennial: il senso di inadeguatezza, la pervasività dei social network (ma senza moralismi, solo come una presa d’atto del loro ruolo nella vita quotidiana) e l’ansia per il futuro. Brittany ha l’impressione di restare immobile mentre gli altri crescono, evolvono, mettono su famiglia e inseguono una carriera. Ecco che allora correre diventa la soluzione ideale, uno spostamento fisico che si rivela anche psicologico. Tornano alla mente le parole del babbuino corridore in Bojack Horseman: «Diventa più facile. Ogni giorno diventa un po’ più facile. Ma devi farlo ogni giorno. È quella la parte difficile. Ma diventa più facile.»

Brittany non si ferma più e la vera storia di Brittany O’Neill incarnano proprio questo concetto: un passo dopo l’altro, ogni giorno, per gradi. L’umorismo aiuta – e il film ne è pieno, in molte scene si ride di gusto – ma ciò che conta è soprattutto la ricostruzione progressiva del sé, a partire dall’interno. Abbandonare i pregiudizi del vecchio mondo non è semplice, e Colaizzo ha il merito di non edulcorare il carattere della protagonista, talvolta persino sgradevole nella sua amarezza; eppure, il percorso che compie sfiora corde emotive profonde, fino a un’epilogo toccante e mai ricattatorio. Non accade spesso che il cinema americano contemporaneo trasmetta un simile calore.