Nel portare sul grande schermo l’adattamento del capolavoro letterario di Jonathan Lethem – operazione che gli ha richiesto circa vent’anni – Edward Norton ha rielaborato il testo lavorando su due idee principali soltanto apparentemente antitetiche tra loro. Dal lato estetico ha reso l’ambientazione più “classica”, settandola esplicitamente dentro gli anni ’50, mentre Lethem nel suo libro fornisce indicazioni sul periodo in cui la storia si svolge ma lascia in fondo che sia il lettore a “riempire” l’epoca con la sua visione. Dall’altro lato invece la trama scritta appositamente per il film, decisamente più strutturata sulle basi del noir, rende Motherless Brooklyn – I segreti di una città un film molto più contemporaneo del libro, in quanto racconta in filigrana quanto coloro che detengono il potere in una città come New York siano sempre più distaccati e meno coscienti dei bisogni dell’uomo comune.
Al centro della vicenda però rimane sempre e comunque Lionel Essrog, orfano affetto da sindrome di Tourette – nel libro viene citata esplicitamente, nel film rimane un disturbo ancora non perfettamente conosciuto – che vuole indagare sull’assassinio del suo “padre spirituale” Frank Minna, imprenditore che lo ha accolto e adottato sottraendolo a una vita probabilmente misera e solitaria. Quello diretto da Norton è un omaggio esplicito sia al genere che alla città in cui è ambientato: il regista si prende tutto il tempo necessario per dipanare la sua storia, costruendo scena dopo scena un film di certo contaminato da alcune lungaggini ma al tempo stesso costruito secondo le regole narrative di un tempo, quelle che consentivano alla messa in scena anche inserti di scene in cui lo spettatore poteva assaporare l’atmosfera dei luoghi, approfondire il carattere dei personaggi, senza che necessariamente azione o spettacolo dovessero dettare le regole della trama a tutti i costi.
Motherless Brooklyn – I segreti di una città è un noir in piena regola, magari anche fuori tempo massimo, in quanto sceglie consapevolmente di non seguire le regole del cinema contemporaneo, soprattutto per quanto riguarda il ritmo del racconto. In alcuni momenti si nota che il budget probabilmente ridotto non consente a Norton di riempire la messa in scena con quel respiro necessario per un film in costume. Eppure rimane difficile non affezionarsi a un protagonista che nelle sue imperfezioni e nella sua testardaggine diventa sequenza dopo sequenza un essere umano sempre più dolce, sincero: Norton riesce a sviluppare con pienezza il lato più umano di Essrog, ed è alla fine quello a convincere maggiormente. A un povero diavolo come questo detective improvvisato, timido ed esplosivo, si deve principalmente il fatto che Motherless Brooklyn sia un’operazione con un suo appeal. Merito primario ovviamente va al genio letterario di Jonathan Lethem, ma anche al coraggio e alla perseveranza di Edward Norton che ha voluto a tuti i costi portarlo al cinema. Il suo film è indubbiamente non esente da difetti, ma rappresenta uno sforzo sincero di ricreare le atmosfere e i personaggi del noir di un tempo. E questo da solo è un motivo per vederlo.