Ciò che salta immediatamente agli occhi dello spettatore vedendo il Joker diretto da Todd Phillips è senza dubbio la cura certosina e la lucidità con cui l’autore ha costruito l’universo cinematografico in cui il suo protagonista esiste e agisce. La coerenza cinematografica di Joker è pressoché totale: personaggi, ambienti e sviluppo narrativo si amalgamano con una precisione davvero molto difficile da trovare in un prodotto di genere come questo.
Per ottenere questo risultato però Phillips ha ridefinito, in alcuni casi addirittura ribaltato, le coordinate sia del personaggio che del mondo in cui si muove, almeno così come li conosciamo e amiamo nei fumetti. Se quindi come amante di cinema Joker risulta un film magnificamente orchestrato, da appassionato di fumetti invece alcuni dubbi sull’operazione risultano evidenti. Eccoveli sottoposto sotto forma di quesiti.
Quello che rende Joker un personaggio irresistibile nell’iconografia dei fumetti di Batman sta nel fatto che rappresenta il caos più radicale: un elemento esterno e imprevedibile che irrompe sfondando le porte del tessuto sociale di Gotham e si gongola all’idea di farlo esplodere. Non lo abbraccia né tenta di cambiarlo: vuole soltanto distruggerlo. L’Arthur Fleck del film di Todd Phillips è invece parte integrata – anche se al livello più infimo – della società in cui vive, e col progredire del suo arco narrativo ne diventa addirittura in qualche modo metafora violenta ma comunque interiorizzata. Joker non è più “altro” rispetto a Gotham, ne è diventato il paladino perverso.
Questo ci porta dunque alla seconda serie di domande: perché qualcuno dovrebbe ergersi per salvare una città che proprio non sembra voler essere salvata? Onestamente non pare esserci posto per Batman nella Gotham di Joker. Ciò che rende il Cavaliere Oscuro un personaggio ancor più doloroso è il fatto che ha scelto di abbracciare totalmente la sua missione di vigilante, perché crede ciecamente – oseremmo dire in maniera fanatica – che la sua città debba essere comunque salvata dal crimine e da personaggi come Joker e tutti gli altri. Questo può valere per la Gotham messa in scena da Phillips? Appare onestamente difficile crederlo quando anche figure come Thomas Wayne – il simbolo a cui suo figlio Bruce si aggrappa – sono state “corrotte” del veleno della città…
Secondo fattore: se il regista ha voluto parlare del nostro presente attraverso la metafora del Joker – e ripetiamo, “se” – perché ha così fortemente connotato Gotham City a livello estetico per farla sembrare la New York di fine anni’70/inizio ’80, e cioè nel suo periodo più buio e violento? Tutti gli altri film dell’universo di Batman hanno ovviamente giocato con la sovrapposizione Gotham/New York, ma quello di Phillips è il primo lungometraggio in cui l’equilibrio è chiaramente mancante, il gioco di specchi infranto: Arthur Fleck si muove chiaramente in una New York sporca, degradata, violentissima. Una città che non somiglia neppure minimamente a quella di oggi, la quale sia chiaro vive ancora di molte contraddizioni interne ma non rappresenta più la minaccia psicologica ed emotiva dell’epoca in cui il film la mette in scena. Alla fine la New York di Phillips si avvicina più all’idea distopica di un franchise come The Purge che a una visione metaforicamente alterata della società americana di oggi.
Joker ghigna in faccia a tutto e tutti perché vuole scardinare il loro mondo, le loro convinzioni. Il sorriso del villain è la negazione dell’ordine costituito, mentre quello di Arthur Fleck è una condizione patologica che si manifesta in condizioni di stress emotivo. Non si riduce in questo secondo caso la portata sovversiva e destabilizzante dell’atto? Il personaggio interpretato (magnificamente) da Joaquin Phoenix non ride mai veramente nel film, non arriva a spiazzare chi gli sta di fronte con la gioiosa follia di chi non segue le regole dello status quo, anzi ride loro in faccia…Certo, poi dietro il ghigno del Joker si nascondono orrore, dolore e tragedia. Eppure quel ghigno rimane un atto voluto. Folle, ma voluto.
Torniamo a un concetto che abbiamo introdotto in precedenza: il Joker rappresenta il caos, la negazione, la follia insensata che invade l’ordinario. E come tale rimane molto più potente e destabilizzante se non possiede alcuna spiegazione, nessuna storia, nessun appiglio emotivo o socio-psicologico. Todd Phillips invece ci racconta nei minimi particolari la vita di Arthur Fleck e ciò che lo porta a diventare Joker. Un percorso preciso, comprensibile, doloroso. In questo modo però possiamo “capire” Arthur, “sentire” il disagio. Viene così a mancare quell’elemento incomprensibile e irrazionale che fa del Joker l’”altro”, l’irresistibile giullare che non ci è dato conoscere se non attraverso i suoi folli lazzi e le sue esplosioni di gioiosa violenza. Fleck invece è in qualche modo uno di noi, anche nella sua discesa entro il suo personale l’inferno…
Il momento più emozionante del film di Phillips è quando Arthur ha il suo breve incontro con un bambino di nome Bruce, e percepisce che la sfida più grande deve ancora arrivare…Ed è questo a conti fatti che manca in Joker: Batman. Non esistono a nostro avviso nella storia della letteratura contemporanea due personaggi così strettamente intrecciati, quasi impossibili da scindere. Il gioioso sorriso della follia contro la dolorosa oscurità dell’ordine: tutto ciò che il Cavaliere Oscuro rappresenta nel film di Phillips viene a mancare, ed è come se di conseguenza anche il suo Giullare fosse incompleto, lasciato solo a vagare nel suo mondo in rovina senza che ci sia qualcuno a ricordagli chi è veramente, o meglio cos’è. Non c’è un vero antagonista nel film, soltanto un protagonista che affonda. Per spiegare al meglio ciò che intendiamo chiudiamo con le parole finali dello straordinario Joker, comic-book di Brian Azzarello e Lee Bermejo. Le parole sono quelle di un criminale da strapazzo che credeva di aver capito chi (e cosa) era Joker:
My name is Jonny Frost, but I don’t have to tell you that, do I? You know I’m somebody…I’m on top of the world, looking down. You know what I see? Do you want to know what I see? I see you. A Disease. One that has been around longer than Gotham. The city infected. A disease that’s older than any city. Hell. It’s probably the same disease that built the first one. There will always be a Joker. Because there is no cure for him. No cure at all. Just a Batman.
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