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ZeroZeroZero debutta a Venezia 76: la recensione dei primi due episodi

Pubblicato il 05 settembre 2019 di Lorenzo Pedrazzi

Mentre le sue ambizioni cinematografiche guardano sempre di più a Hollywood, Stefano Sollima continua a svecchiare la serialità televisiva italiana con un altro progetto di ampio respiro, capace di competere con le grandi produzioni internazionali: ZeroZeroZero, basata sul libro-inchiesta di Roberto Saviano, è una serie che mette a nudo il peso del traffico di cocaina nell’economia mondiale, dividendosi tra il punto di vista dei produttori, quello dei broker e quello dei compratori, che corrispondono a tre paesi diversi.

I primi due episodi sono stati presentati alla 76ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, e consentono già di decifrare la natura e la struttura dello show, tutto giocato sull’alternanza di linee narrative che saltuariamente s’intersecano. L’incipit ci porta in Calabria, dove un anziano boss organizza l’acquisto di una partita di cocaina dal Messico, ma suo nipote minaccia di tradirlo per gestire gli affari autonomamente. Intanto, a Monterrey, una squadra speciale dell’esercito interrompe l’incontro fra i produttori e i broker, che dovrebbero curare la spedizione della droga in Italia. Con un salto indietro nel tempo, scopriamo che i broker sono un imprenditore di New Orleans (Gabriel Byrne) e sua figlia (Andrea Riseborough), cui si aggiunge anche il fratello minore di quest’ultima (Dane DeHaan): un ragazzo non udente e affetto da sindrome di Huntington, non ancora attiva. La famiglia gestisce diversi traffici navali, ma quelli di cocaina sono molto più redditizi degli altri. La collisione tra queste tre dimensioni provoca conseguenze gravissime per tutti i personaggi coinvolti.

Nonostante il tema sia di notevole interesse, il lungo prologo che anticipa la sigla non facilita l’immersione nella trama: il quadro si fa più chiaro soltanto alla fine della premiere, e le fasi iniziali tendono a risultare un po’ anonime, con personaggi che fanno fatica a emergere. In effetti, il segmento italiano è quello con i protagonisti più deboli, mentre quello messicano guadagna personalità nella seconda puntata, quando scopriamo maggiori dettagli sui soldati che combattono i narcotrafficanti. La prima inquadratura, però, è tutta per Gabriel Byrne, che funge anche da narratore “filosofico” nel corso della serie: basta questo per capire che gran parte della storia ruoterà attorno al trio statunitense, soprattutto ai personaggi di Andrea Riseborough e Dane DeHaan, le cui interpretazioni sono molto valide.

Saviano ha dichiarato che ZeroZeroZero non è una serie sulla droga, ma sul potere, ed è per questo che i tre broker hanno un ruolo fondamentale: rappresentano infatti la parte (apparentemente) più rispettabile del traffico, sono i colletti bianchi che nascondono il commercio di cocaina dietro una maschera di legalità. In tal modo, si fanno emblema di quel mercato globale che dalla droga trae profitti giganteschi, anche senza essere coinvolto direttamente nello scambio, e diventano ben presto i volti con cui è più facile relazionarsi. Questo discorso vale soprattutto per Dane DeHaan, il cui personaggio potrebbe avere delle sfaccettature interessanti, diviso com’è tra innocenza e carriera criminale.

Al contempo, i segmenti messicani rivelano il fraintendimento tra cultura cattolica e predestinazione, mettendo al centro la figura di un soldato convinto di fare il lavoro di Dio, ma connivente con i cartelli della droga. Le parti italiane – finora le più deboli – si concentrano invece su un discorso che Saviano ripete spesso: la vita da recluso del boss, paradossalmente incapace di godere delle sue ricchezze. Attorno a lui, però, si muovono personaggi piatti e privi di carisma, la cui funzione (per ora) è semplicemente strumentale ai fini della trama. A parte questo, ZeroZeroZero ha il merito di costruire uno schema narrativo intrigante, pur richiedendo un po’ di tempo per essere digerito: ogni segmento, infatti, narra i retroscena di quello precedente, ricollegandosi a esso nel finale. Si salta avanti e indietro nel tempo, passando da un gruppo di personaggi all’altro, fino a scoprire i legami tra di loro.

Sollima dirige con il solito mestiere, dimostrando di saper tenere in mano l’azione come pochissimi altri registi italiani (forse nessuno, a parte Matteo Rovere). Peccato che la sceneggiatura scivoli in qualche battuta un po’ didascalica, quando avrebbe potuto giocare un po’ di più sui contenuti impliciti. Resta comunque una serie dal buon potenziale, che a livello produttivo risulta già impressionante: il mercato internazionale è pronto ad accoglierla.