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Waiting for the Barbarians, o l’arte di crearsi il proprio nemico: la recensione da Venezia 76

Pubblicato il 06 settembre 2019 di Lorenzo Pedrazzi

Ai confini di un “impero” non meglio specificato c’è un avamposto che guarda il deserto, sulle cui alture vive una popolazione barbara: la guarnigione della fortezza sorveglia la situazione, ma di veri pericoli non c’è alcuna traccia, e la vita nella piccola città prosegue tranquilla, in attesa di un’invasione che forse non arriverà mai. Se queste premesse vi ricordano qualcosa, significa che avete fatto i compiti: il romanzo Aspettando i barbari di J.M. Coetzee trae chiaramente ispirazione da Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, pur concentrandosi su tematiche diverse rispetto a quest’ultimo.

Ebbene, Waiting for the Barbarians traspone il libro dello scrittore sudafricano – anche autore della sceneggiatura – attraverso lo sguardo di Ciro Guerra, regista colombiano che ha saputo raccontare le comunità native del Sud America in film come El abrazo de la serpiente e Oro verde. Mark Rylance interpreta il magistrato dell’avamposto, uomo pacifico che promuove la convivenza con i barbari; ma quando il Colonnello Joll (Johnny Depp) viene incaricato di riferire dell’attività degli stranieri sul confine, la situazione cambia: Joll tortura infatti diversi barbari, e acceca parzialmente una donna che il magistrato prende molto a cuore. La ribellione di quest’ultimo, che vuole riportare la ragazza al suo popolo, avrà conseguenze molto serie.

È curioso che, nel trasporre il libro di Coetzee, Ciro Guerra adotti lo stesso registro scelto da Valerio Zurlini per Il deserto dei tartari: silenzi, tempi dilatati e inquadrature in campo totale per mostrare la desolazione che circonda l’avamposto. In questo caso, però, Waiting for the Barbarians non riesce a sfruttarne il potenziale espressivo, e i momenti più validi sono i confronti dialogici tra il magistrato, Joll e Mandel, l’ufficiale interpretato da Robert Pattinson. È in queste scene che emerge lo scontro culturale fra i personaggi, peraltro ben coagulato sui volti degli attori: se le performance misurate di Depp e Pattinson comunicano la rigidità delle loro controparti, la mimica dolce e malleabile di Mark Rylance incarna le capacità empatiche del magistrato, la sua disposizione a comprendere “l’altro”.

In effetti, il cuore di Waiting for the Barbarians è proprio questo: il conflitto – estremamente contemporaneo – tra accoglienza e discriminazione, amore e odio, fiducia e diffidenza. Il tema riecheggia nelle cronache dei nostri giorni, ma Guerra e Coetzee fanno di questo “impero” anche un riflesso delle politiche espansionistiche americane, che finiscono per creare i propri stessi nemici attraverso una nuova forma di colonialismo. L’aggressività genera altra violenza, e il circolo vizioso si alimenta da solo.

La bravura degli attori e l’attualità delle tematiche non bastano però a evitare la piattezza del film, che si trascina stancamente fino all’epilogo più scontato, memore – questo sì – del capolavoro buzzatiano.