Il piatto forte del New York Film Festival 2019 è stato senza dubbio The Irishman, nuovo film di Martin Scorsese prodotto da Netflix e presentato in anteprima mondiale alla kermesse che si tiene ogni anno al Lincoln Center. Dopo la proiezione della stampa il regista e i tre protagonisti Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci hanno risposto ad alcune domande della stampa. Eccovi dunque cosa ci ha raccontato il cast di uno dei film che si candidano di prepotenza a concorrere per gli Oscar.
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Martin Scorsese – Non lavoravo con Robert De Niro dai tempi di Casinò, quindi da ben più di due decenni. Circa dieci anni fa stavamo provando a portare al cinema L’inverno di Frankie Machine, tratto dal romanzo di Don Winslow, ma stavamo avendo molte difficoltà, a tal punto che il film non si è mai fatto. A quel tempo Robert invece mi ha portato il libro di Charles Brandt I Heard You Paint Houses, che racconta le vicende criminali di Frank Sheeran. Ho sentito subito che aveva già capito il personaggio in profondità, così come ho sentito che avevo qualcosa di nuovo da raccontare attraverso questa storia. Di conseguenza è arrivato Steven Zaillian e ha scritto la sceneggiatura, ma parliamo ancora di molti anni fa. The Irishman è un progetto che ci ha richiesto molti sforzi e convinzione.
M.S. – Al lo conosco dal 1970, stava dirigendo qualcosa che Francis Ford Coppola aveva intenzione di produrgli. In realtà avevamo già tentato di lavorare insieme a un progetto sulla vita di Modigliani, ma non è andato in porto.
Al Pacino – Oggi lavorare su un personaggio realmente esistito è molto più facile, ci sono una quantità enorme di modi per arrivare a conoscerlo e capirlo in profondità: libri, fotografie, filmati reperibili ovunque. Hoffa poi non era certamente un timido, amava stare in pubblico, davanti alle telecamere. Ricordo che quando interpretai il mio primo personaggio realmente esistito, Frank Serpico, l’unica fonte era stata…Frank Serpico! Era un modo di lavorare diverso…
Joe Pesci – Non ho avuto alcun problema a tornare davanti alla macchina da presa per Martin, a me basta fare ciò che mi dice di fare e so che ne uscirà fuori qualcosa di buono.
Robert De Niro – Era da un po’ di tempo che volevo lavorare nuovamente con Martin e Joe, i film che abbiamo fatto insieme hanno un loro spessore. Qualche volta c’è stata la possibilità ma le cose spesso vanno in questo modo, alla fine possono anche non concretizzarsi. Anche The Irishman non è stato un progetto facile da realizzare, c’è voluto molto tempo.
M.S. – È vero, ci abbiamo messo anni per trovare i fondi necessari alla realizzazione del film, nel modo in cui volevamo farlo. Il fattore principale era il processo di ringiovanimento dei personaggi, soprattutto di Frank Sheeran: mi rifiutavo di girare adoperando trucchi e protesi che sarebbero risultati posticci. Questo tipo di lavoro sugli effetti speciali però richiede delle prove che sono costose, abbiamo iniziato a farle anni fa. Per fortuna è arrivato Netflix che ci ha dato il via libera e alla fine ha permesso di realizzare The Irishman. Abbiamo avuto una sostanziale libertà, non ci sono state interferenze. Qualche nota di tanto in tanto, ma ci siamo confrontati liberamente su di esse. Penso che alla fine l’attesa sia giovata al risultato finale di the Irishman, perché nel frattempo il campo degli effetti speciali è progredito al punto da fornirci ciò che stavamo cercando per fare il film al meglio.
A.P. – Per prime mi hanno mostrato delle prove che hanno fatto con Bob lavorando su del materiale preso da Quei bravi ragazzi. È stato impressionante, non riuscivo a capire quale fossero le scene originali e quali invece quelle ritoccate dal computer.
M.S. – Vorrei anche aggiungere che uno dei fattori da considerare è stato anche il linguaggio fisico dei personaggi, non soltanto l’aspetto. Il primo giorno di riprese con Al ad esempio abbiamo girato una sequenza in cui lui Hoffa parla in pubblico con la sua solita dose di energia, e il primo ciak era straordinario. Poi però abbiamo notato che il personaggio si alza da una sedia con movimenti più lenti e controllati, quando in realtà in quel momento Jimmy Hoffa aveva soltanto quarantanove anni. Abbiamo dovuto rigirare alcune versioni della stessa inquadratura per renderla credibile.
M.S. – Viviamo in un tempo molto interessante, in cui si deve capire bene quale può essere il destino di un lungometraggio, se quello di una sala cinematografica o attraverso altri modi di fruizione. Alla fine però The Irishman lo abbiamo fatto soprattutto per noi stessi, era questo che contava più di tutto. Spesso le carriere di artisti si sviluppano secondo strade diverse, che li separano, mentre noi eravamo ancora legati da una sorta di legame telepatico, e questo film è stato il modo naturale di tornare insieme.
Ci sono degli elementi e fatti nel libro di Brandt che avete scelto di omettere nella sceneggiatura? Cosa ha dettato queste scelte?
M.S. – Ho voluto fare questo film per un motivo preciso, e cioè raccontare chi siamo come essere umani. Amore, tradimento, senso di colpa, perdono: tutto quello che non riguarda questi argomenti poteva anche essere escluso dalla storia per me poiché non era essenziale. Non volevo fare un trattato di storia, o dare risposte su chi ha ucciso chi. Volevo mostrare quello che devono passare Frank Sheeran, Russell Bufalino e Jimmy Hoffa, e mostrare che nessuno è al di sopra della legge. Farebbe molta differenza oggi sapere la verità su alcuni fatti accaduti decenni fa? Non so rispondere.
The Irishman uscirà in alcune sale di New York e Los Angeles il prossimo 1 novembre, e su Netflix (in tutto il mondo) il 27 novembre.