Viviamo nell’epoca della globalizzazione, e Mosul è la dimostrazione che questo vale anche per il cinema. Viviamo nell’era di The Raid, diretto da un regista gallese in Indonesia. Come un novello Gareth Evans, Matthew Michael Carnahan (sceneggiatore di World War Z) se ne va in Iraq (il Marocco, in realtà) per il suo debutto alla regia, prodotto dai registi di Avengers: Endgame, Anthony e Joe Russo. Il risultato è un film di guerra di stampo americano girato completamente in lingua araba e con un cast di attori mediorientali, molti dei quali esuli iracheni.
Mosul è tratto da un articolo di Luke Mogelson, pubblicato sul New Yorker. Che racconta la storia vera di un team SWAT incaricato di lottare senza sosta contro le forze dell’ISIS. Il film incorpora tutte le caratteristiche del moderno cinema di guerra americano. Ci sono chiari echi di Black Hawk Down e Salvate il soldato Ryan, due capisaldi del filone che hanno ridefinito lo stile dei film di guerra, dalla fotografia desaturata all’uso della camera a mano. E fino all’impressionante dettaglio dei set e a un sound design capace di rendere al meglio la potenza frastornante del fuoco bellico. Da quei film, Carnahan ha anche mutuato l’attenzione al cameratismo tra i soldati e, soprattutto da Spielberg, l’idea di una missione molto personale.
Come è chiaro, dunque, Carnahan non ha inventato nulla. Eppure rimescola tutto in maniera efficiente e mantiene alto il ritmo dal primo secondo. Mosul inizia infatti con un trio di poliziotti assediati dall’ISIS in un bar e, da lì, non molla praticamente mai. Un assalto totale che sfocia in diversi scontri a fuoco tesissimi. E si chiude con un finale inaspettatamente intimo e sottotono.
A colpire più di tutto è la scelta di girare il film in arabo con attori pressoché sconosciuti. Vent’anni fa sarebbe stato impossibile. Oggi è l’unica scelta possibile, invece: i film di ogni nazionalità circolano in maniera molto più capillare e non ha più senso che un intero cast arabo parli in inglese con l’accento. Perché quel film non lo vedranno solo gli americani. Carnahan ha scelto un ottimo cast – Suhail Dabbach, Adam Bessa, Ahmed Adel, Thaer Al-Shayei, Isaac Elias e Mohimen Mahbuba, tra gli altri. E tutti gli attori si sono impegnati a recitare nel particolare dialetto arabo della zona.
Questo contribuisce al generale realismo e alla resa del film. Un war movie che magari non innoverà formalmente il genere come altri prima di lui, ma che, per una volta, restituisce la complessità di un conflitto che da troppo vediamo raccontato solamente dal punto di vista americano. La storia, si dice, è raccontata dai vincitori. Per fortuna, ogni tanto è raccontata anche dalle vittime.