La storia di Dune (FantaDoc)

La storia di Dune (FantaDoc)

Di DocManhattan

È una storia lunga, quella che alla fine porta il romanzo Dune, pubblicato da Frank Herbert nel ’65, a diventare il film omonimo diretto da David Lynch. Una storia che inizia molti anni prima del coinvolgimento dello stesso Lynch e dei De Laurentiis come produttori. Con il celebre Dune mai nato, quello di Alejandro Jodorowsky? No, ancora prima. Già nel ’71, il produttore Arthur P. Jacobs si accaparra i diritti del romanzo di Herbert con la sua Apjac International. Vuole farne un film da 15 milioni di dollari, ma si trova impelagato nei seguiti de Il Pianeta delle Scimmie – quelli che in Italia hanno titoli che non menzionano affatto le scimmie, come 1999: Conquista della TerraAnno 2670: Ultimo atto – e l’inizio delle riprese slitta al 1974. Problema: Jacobs se lo porta via un infarto, a 51 anni, nel giugno del ’73.

LE 10 ORE DI JORODOWSKY

La palla passa quindi a fine ’74 a un consorzio francese guidato da Jean-Paul Gibon, che rileva i diritti e ingaggia Alejandro Jodorowsky, reduce dal surreale La montagna sacra, per dirigere il suo Dune. C’è un documentario del 2013, Jodorowsky’s Dune di Frank Pavich, che racconta l’ambizione smisurata del progetto. Il regista cileno si lascia prendere un po’ la mano (#understatement), aggiunge diversi elementi alla storia di Herbert e immagina un film che, stando al suo copione, avrebbe sfiorato le 14 ore (quattordici) di durata. Il cast avrebbe annoverato Salvador Dalí (che sarebbe stato l’Imperatore Padishah per la modica cifra di 100mila dollari per un’ora di riprese), Orson Welles, David Carradine, Geraldine Chaplin, Alain Delon, Gloria Swanson e Mick Jagger. Con le musiche dei Pink Floyd, il design di Jean Giraud (Moebius) e H. R. Giger, gli effetti speciali di Dan O’Bannon.

La pre-produzione dura due anni e mezzo, durante i quali si bruciano oltre nove milioni di dollari. Ma alla fine non si trovano i soldi sufficienti per girare il film, essenzialmente perché nessuno studio hollywoodiano vuole finanziare quella creativa follia. Jodorowsky sostiene comunque nel documentario di Pavich che tutto il lavoro preparatorio del film, inviato alle major, avrebbe ispirato grandi classici della fantascienza venuti dopo, come Star Wars e soprattutto Alien di Ridley Scott, al quale hanno lavorato diverse menti incontratesi sulla strada senza uscita del suo Dune: O’Bannon, Giger, Moebius e il concept artist Chris Foss. E a proposito di Ridley Scott…

IL LIBRO DEI DE LAURENTIIS

A fine ’76 c’è una fan del libro di Herbert che vorrebbe proprio tanto far ripartire daccapo il discorso “facciamo un film su Dune”. Si chiama Raffaella De Laurentiis, è la figlia di Dino, e prima di partire per quello che dovrebbe essere un breve viaggio di lavoro a Tahiti, come assistente di produzione di Uragano (1979), convince il padre a negoziare i diritti del romanzo e ad aspettare il suo ritorno prima di metterci mano. Ma la produzione del film catastrofico di Jan Troell la tiene inchiodata sull’isola di Bora Bora per due anni, per supervisionare la costruzione dei set e decidere cosa fare dell’albergo che hanno costruito lì per la pellicola. La produttrice ne approfitta per girare un piccolo film, Beyond the Reef, realizzato con 14 persone in tutto, e quando torna è pronta per affrontare Atreides e Harkonnen.

Dino De Laurentiis ha nel frattempo commissionato un nuovo script direttamente a Frank Herbert, che però sforna un copione troppo lungo. Non se ne fa niente. Arriva il 1979 e De Laurentiis ingaggia Ridley Scott, fresco del successo di Alien, che poi era tutto merito di Jodorowsky secondo quest’ultimo, dicevamo, e gli affida il timone di Dune. C’è sempre Giger in ballo per sfornare gli storyboard, e c’è pure Rudolph Wurlitzer, a cui Scott chiede una mano per scrivere il film. Seguono vari script di Wurlitzer che non convincono la produzione, finché Ridley Scott decide di mollare per dedicarsi a Blade Runner. E lo ringraziamo vivamente per questo, certo, ma ai tempi la cosa significa un altro frontale contro un muro per questo film di Dune che sembra proprio non volerne sapere di prender forma.

L’UOMO DELL’UOMO ELEFANTE

In un’intervista a Starlog dell’84, Raffaella De Laurentiis spiega che non avevano voglia di aspettare due anni e mezzo che Scott finisse Blade Runner. Il regista britannico raccontò invece tempo addietro che a non voler aspettare era lui, perché dopo la morte improvvisa di suo fratello, non se la sentiva di dedicarsi per altri due anni e mezzo a un film così impegnativo. Ma mentre i De Laurentiis sono alle prese con Conan il Barbaro, esce il film della svolta. Si intitola The Elephant Man, opera seconda di questo trentaquattrenne del Montana di nome David Lynch, e ha fatto piangere un sacco di gente. Potrebbe essere il nome giusto per dare a Dune un’impronta diversa. Lynch è a bordo, per un film che ufficialmente costerà una quarantina di milioni di dollari, esclusi tutti i costi extra, come quelli promozionali, che gonfieranno il conto finale di un’altra trentina, pare.

Lo girano in Messico, Dune, ai Churubusco Studios, non solo perché costa di meno, ma perché è l’unico luogo al mondo in cui si riescono a trovare otto teatri di posa enormi completamente vuoti. Stavano per chiudere, quegli studi, possono farci quello che vogliono. Non guasta, racconta la De Laurentiis, ci sia un bel deserto a un’ora e mezza di macchina. Negli stessi luoghi in cui verrà sviluppato in parallelo anche Conan il Distruttore, la produzione litiga per oltre due anni con la burocrazia messicana, che confisca macchinari e pianta storie per tutti quegli stranieri che devono varcare il confine per venire a lavorare lì. E in Messico, alla fine, si realizzano pure gli effetti speciali: De Laurentiis decide di farli creare in loco, vermi delle sabbie e tutto, quando John Dykstra (Star Wars), che dovrebbe occuparsene in California, si chiama fuori perché non lo lasciano lavorare a modo suo, cioè senza vincoli di budget troppo stretti.

LA SPEZIA SCARSEGGIA

A guardarlo oggi, il cast di Dune è una tale parata di stelle, già tali allora e in divenire, da fare impressione. Lynch non avrà avuto Dalì e Orson Welles, d’accordo, ma un Paul Atreides con il volto di Kyle MacLachlan, affiancato da Max von Sydow, Sean Young, Sting, Freddie Jones, José Ferrer, Virginia Madsen. Una piccola Alicia WittPatrick Stewart e tanti altri. E come Reverenda Madre Ramallo, la madre di Raffaella: la grande Silvana Mangano. Le musiche sono dei Toto, con un tocco di Brian Eno. In fase di montaggio vengono tagliate diverse scene, per contenere la lunghezza della pellicola. Lynch ha sempre pensato a un film di tre ore, il distributore – la Universal – se ne aspettava uno di un paio al massimo. Alla fine si trova un punto d’incontro in un cut da a 137 minuti, realizzando con l’aggiunta di nuove scene di raccordo. Nell’88 spunterà poi una versione estesa per la TV, divisa in due parti, da 186 minuti complessivi.

Ma il film non va affatto come la produzione spera. A capitanare le tante, troppe recensioni negative è la solita macchina da scrivere intinta nel vetriolo del famoso e temutissimo critico Roger Ebert, che prima di definire Dune il peggior film dell’anno, lo descrive come confuso, incomprensibile e brutto. La recensione del New York Times sottolinea che i protagonisti sono degli psicopatici, e perciò “gli unici probabilmente in grado di comprendere il film”. In Italia, La Stampa addossa la colpa del fallimento del film alla produttrice, salvando un incolpevole Lynch, che a sua volta avrebbe salvato il salvabile, nonostante le mani legate. Il fallimento è certificato dalla magra performance di Dune al botteghino. In America esce il 14 dicembre ’84 e incassa solo 30 milioni. È il 28° film dell’anno, giusto un gradino sotto, tu guarda la coincidenza, al gemello diverso parimenti bullizzato dalla burocrazia messicana, Conan il Distruttore (arrivato a 31 milioni).

I figli di Dune

DUNE TELEVISIVE E NUOVI ORIZZONTI

A Frank Herbert però il film piace, così come a una parte dei fan del libro, che negli anni conferiscono al Dune di Lynch l’etichetta di cult. Trentacinque anni dopo, il grande schermo è in attesa del nuovo Dune, affidato alle capaci mani del velocissimo Denis Villeneuve e in uscita nel dicembre 2020. Giova ricordare che nel frattempo, però, un altro Dune in carne e ossa lo si è già avuto. Le due miniserie TV Dune – Il destino dell’universo (Frank Herbert’s Dune, 2000) e I figli di Dune (Frank Herbert’s Children of Dune, 2003, con Susan Sarandon e James McAvoy) magari non saranno state il massimo della spettacolarità, in quanto girate con l’equivalente televisivo di un carico di fichi secchi da matrimonio low cost, ma non erano affatto malvagie. Nella prima, non avendo più Dalì o José Ferrer a portata di mano, l’imperatore Shaddam IV era Giancarlo Giannini. Hai detto niente.

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