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Guest of Honour, l’inganno e la colpa nel film di Egoyan: la recensione da Venezia 76

Pubblicato il 04 settembre 2019 di Lorenzo Pedrazzi

L’aria di casa fa bene ad Atom Egoyan, i cui film più ispirati sono generalmente prodotti in Canada, e Guest of Honour conferma questa tendenza. Autore anche della sceneggiatura, il cineasta egiziano – ma cresciuto in terra canadese – ripropone le sue ossessioni in un dramma piacevolmente eterogeneo, capace di mescolare i registri e di scomporre la trama in un racconto non lineare.

Un validissimo e compassato David Thewlis interpreta Jim, ispettore sanitario che verifica le condizioni igieniche dei ristoranti per tutelare il benessere dei clienti. Sua figlia Veronica (Laysla De Oliveira) è un’insegnante di musica che si trova in carcere per abuso di potere, ma la situazione non è chiara: Jim ha l’impressione che sia innocente, e voglia punire se stessa per un misterioso evento di cui non vuole parlare. Nel passato di Veronica, in effetti, ci sono diversi traumi, comprese le morti premature della madre e di un fidanzato. Mentre prosegue le sue ispezioni, Jim comincia a indagare su quanto è successo.

C’è una cornice narrativa molto precisa che racchiude la trama: Veronica sta infatti raccontando la storia di suo padre a un prete (Luke Wilson), incaricato di celebrarne il funerale. Jim è quindi già morto all’inizio del film, ma il copione alterna diversi piani temporali che restano sparsi come le tessere di un mosaico, salvo poi comporre un’immagine ben definita quando si arriva alla fine. L’attività del protagonista fa da contrappunto alle sue vicende personali, eppure queste linee parallele hanno qualcosa in comune: una ricerca di pulizia e limpidezza, tanto nelle condizioni sanitarie dei locali quanto nella vita privata di Jim. Egoyan trova poi un espediente per intrecciare i due fili, che anticipa la scoperta della verità.

Quest’ultima, peraltro, è una bestia sfuggente che assume diverse forme, a seconda dello sguardo che la filtra. La sua natura magmatica è uno dei temi più cari al cineasta canadese, insieme alle catene della colpa che influenzano le azioni dei personaggi. Il loro peso impedisce a Veronica di vivere liberamente (situazione comune a molti altri protagonisti di Egoyan, come lo Zev Guttman di Remember), ma Guest of Honour trova il suo punto nodale nell’incertezza dei ricordi, che alimentano il senso di colpa o cercano disperatamente di attenuarlo. Persino la tendenza di Jim a rifugiarsi nelle superstizioni – le zampe di coniglio, il nome dell’animale che non può essere cambiato… – nasce dal medesimo desiderio di dare ordine al mondo, come le menzogne che racconta a Veronica per nascondere una relazione extraconiugale.

La sovrapposizione di livelli temporali è ben gestita dal regista, pur senza particolari guizzi creativi o colpi di scena spiazzanti, mentre l’ironia previene gli eccessi da melodramma. In fondo, si tratta di una “piccola” storia intima e dolorosa, ma che assume un’importanza quasi apocalittica per i personaggi coinvolti: come la verità, anche la portata di una vicenda è una questione di punti di vista.