Se vi son piaciuti Ed Wood di Tim Burton o più recentemente The Disaster Artist di James Franco, allora amerete Dolemite Is My Name. Non solo per il divertimento nel racconto della realizzazione del cult-trash della blaxploitation realizzato nel 1975, ma anche perché il film diretto da Craig Brewer racconta qualcosa di più profondo e interessante.
Come il primo Dolemite fu fortemente voluto dal protagonista, produttore e ideatore del personaggio Rudy Ray Moore, così questo biopic commemorativo nasce dalla volontà di Eddie Murphy di rendergli omaggio. E per farlo l’attore in un certo senso cambia pelle: Murphy infatti adatta il suo stile comico molto aggressivo – quello che abbiamo amato in Una poltrona per due o Beverly Hills Cop, tanto per citare i suoi successo di un tempo – restituendocelo con un timbro più sommesso, oseremmo dire gentile. E questo si adatta benissimo all’idea di fondo del film, che racconta come un gruppo di artisti più o meno soddisfatti del proprio successo ha unito le proprie forze al fine di realizzare il sogno di uno di loro, magari non fortunato quanto altri. Ed ecco il motivo per cui Dolemite Is My Name è un film più stratificato di quanto non sembri in apparenza, perché mostra in filigrana la coesione sociale e lo spirito del microcosmo afroamericano in cui è ambientato, contenendo in nuce un messaggio positivo di accettazione e speranza solitamente difficile da trovare in produzioni che mettono in scena proprio tale ambiente.
Craig Brewer mette in scena la storia di Rudy Ray Moore e della sua scombinata banda di accoliti con una scioltezza che poco a poco conquista, venata di un ottimismo di fondo impossibile da negare. Eddie Murphy funge da condottiero autoironico e irresistibile di un gruppo di attori composto anche da Keegan-Michael Key, Craig Robinson, Omar Epps e un redivivo Wesley Snipes, più un cammeo prezioso di Chris Rock. Tutti insieme formano una squinternata Armata Brancaleone a cui è impossibile non voler bene.
Dolemite Is My Name è un prodotto da gustare in completa rilassatezza, che si fa voler bene fin dalle prime scene e lascia alla fine la sensazione calda di aver passato una bella serata insieme a un gruppo di amici che sognavano di fare cinema. Unica nota stonata: la scena in cui i protagonisti vanno a vedere in sala Prima pagina di Billy Wilder e non lo trovano affatto divertente. Signor Dolemite, per favore, non scherziamo…