Joker, tragedia di un uomo che ride: la recensione da Venezia 76

Joker, tragedia di un uomo che ride: la recensione da Venezia 76

Di Lorenzo Pedrazzi

La consacrazione definitiva di un genere passa anche dalle sue deviazioni, quando le regole vengono sovvertite o reinterpretate in modo nuovo. Rifarsi al cosiddetto cinema “alto” – citando una separazione vetusta – è la strategia più immediata per cercare una legittimazione artistica che cambi la prospettiva sui generi popolari, e i cinecomic ci stanno provando: ormai sono un retaggio a se stante, con i propri codici e tradizioni, quindi cercano strade alternative per rinnovare la formula. Non è una novità in senso assoluto (i fumetti di supereroi lo fanno da decenni), ma al cinema è un discorso diverso, perché diverse sono le tempistiche e i valori produttivi. In tal senso, Joker rappresenta un potenziale momento di svolta: il film di Todd Phillips non solo ruota attorno alla genesi di un antagonista, ma rinuncia alle dinamiche “classiche” dei supereroi per abbracciare un disperato, viscerale dramma psicologico.

Ovviamente ci troviamo a Gotham City, ma potrebbe tranquillamente essere la New York degli anni Ottanta, che infatti ha ispirato la caratterizzazione della metropoli fittizia. Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) è un aspirante stand-up comedian che lavora come clown su commissione, e cerca di sopravvivere in una città violenta, cementificata e sempre più lurida, mentre si occupa dell’anziana e fragile madre (Frances Conroy). Arthur è sotto psicofarmaci, spesso viene assalito sul lavoro, ma trova un piccolo conforto nei suoi sogni: ad esempio, farsi ospitare dal talk show di Murray Franklin (Robert De Niro), sorta di David Letterman che lancia giovani talenti comici. Intanto, il miliardario Thomas Wayne (Brett Cullen) si candida a sindaco per ripulire Gotham, ma la situazione in città diventa sempre più critica: ad Arthur serve solo una piccola spinta per cadere nell’abisso.

Joker è effettivamente impostato come una discesa progressiva nella follia, dove il male è frutto di un ambiente sociale avariato, e la genesi del Clown del Crimine riecheggia la lezione di The Killing Joke: di fronte a un mondo assurdo e paradossale, l’unica risposta sensata è la pazzia. Todd Phillips e il co-sceneggiatore Scott Silver non adattano direttamente alcuna storia dei fumetti, ma preferiscono omaggiare Taxi Driver e soprattutto Re per una notte, al punto da ritrarre il personaggio di De Niro come un Rupert Pupkin che ce l’ha fatta. Il cinecomic si rivolge quindi al cinema “alto” per legittimare se stesso, approccio forse discutibile perché sminuisce la fonte di partenza, ma in questo caso funziona: Joker è l’unico supervillain con cui abbia senso un’operazione del genere, poiché ricopre un ruolo ben preciso rispetto alla sua nemesi, e il film non manca di ricordarcelo.

Joker recensione

Joker è un agente del caos, semina l’inferno ovunque vada; non brama il potere, ma solo la destabilizzazione di un mondo che considera ridicolo, perché si affanna ad attribuire un significato a eventi insensati. Batman è invece un garante dell’ordine, connivente con le istituzioni e irrigidito da un forte codice morale: i due nemici sono quindi complementari, e Phillips trova un modo interessante per stabilire questo concetto. Si tratta però di un aspetto marginale, sorta di riferimento obbligato a una mitologia più ampia. Sì, perché Joker resta interamente focalizzato sul suo protagonista, mettendo in scena la sovversione di un percorso formativo: l’evoluzione di Arthur Fleck è infatti un deterioramento psicologico, causato dal disinteresse delle istituzioni e dal cinismo dell’uomo medio, a cominciare dagli yuppie reaganiani che incarnano tutta la brutalità del neoliberismo. Con una narrazione lineare ma rigorosa, Phillips rende il Joker un paladino involontario degli “ultimi”, salvo rammentarci che si tratta pur sempre di uno psicopatico.

Ciononostante, è impossibile non empatizzare con questo individuo smunto e sventurato, il cui fisico ragnesco sembra consumato dai suoi stessi disagi mentali ed emotivi. Forse non avrebbe funzionato altrettanto bene senza Joaquin Phoenix, attore straordinario che regge il film praticamente da solo, interiorizzando un magma di conflitti ed emozioni che traspaiono tanto dalla mimica facciale quanto dall’uso del corpo. Phoenix però non eccede in parossismi, e resta trattenuto in una follia che trova sfogo solo nella risata maniacale, peraltro senza poterla controllare. Ma si tratta di una risata dolorosa, confusa nel pianto, unica reazione possibile davanti a un’esistenza in cui la tragedia sfocia nella commedia; perché anche il dramma, quando supera certi limiti, può diventare grottesco.

Un film ben costruito nella sua struttura narrativa, e ulteriormente valorizzato dall’ottima fotografia di Lawrence Sher. Di fatto, Joker è l’emblema di un immaginario che si è ormai depositato nella coscienza collettiva, e può quindi permettersi di cercare nuove strade all’interno della sua mitologia, contaminandola con le più svariate influenze esterne; l’importante è che non smarrisca o rinneghi le proprie origini.

Joker recensione

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