Josh Cooley (co-sceneggiatore di Inside Out e regista del corto Il primo appuntamento di Riley) ha presentato in anteprima mondiale al Festival di Annecy l’atteso Toy Story 4, che segna il suo debutto alla regia di un lungometraggio animato.
Si tratta di un capitolo molto importante all’interno della franchise perché ridefinisce il ‘concetto di giocattolo’, la sua ragione di vita e introduce un punto di non ritorno che avrà delle conseguenze che potremmo definire ‘epocali’.
Il film rappresenta allo stesso tempo la perfetta conclusione della franchise, so che sembra incredibile dirlo ma davvero offre un finale più appropriato rispetto a Toy Story 3, e apre una serie di strade che potrebbero essere esplorate in diversi media.
La pellicola si apre con un flashback ambientato 9 anni prima. Poco dopo un’operazione di salvataggio, Bo, le sue pecore e la sua lampada vengono messe in una scatola di oggetti da vendere. Woody parte all’aiuto dell’amica, ma rimane basito dall’atteggiamento della bambola che ha accettato il suo destino ed è pronta a passare al prossimo bambino. Una lezione questa che Woody ha imparato solamente nel capitolo precedente.
Bo e Woody sono sempre stati delle anime gemelle, ma il loro modo di pensare, di vedere il mondo, non potrebbe essere più diverso. Un assaggio ci viene dato in questo flashback, e successivamente nel resto del film, quando la missione di Woody diviene un’ossessione che lo acceca e non gli permette di rendersi conto del male che sta facendo a chi gli sta intorno e lo sta aiutando.
L’emancipatissima Bo è forte, indipendente, non si tira mai indietro. È lei a guidare Woody in questo viaggio alla scoperta di se stesso, chi è? E dove sta andando? Questa nuova versione del personaggio è fresca e riflette perfettamente i nuovi tempi.
Il breve montaggio che ripercorre la storia di Woody con Andy fino al suo arrivo da Bonnie, scandito dalle note della canzone ‘You’ve Got a Friend in Me‘ di Randy Newman, è una sequenza dal sapore nostalgico che serve a rimarcare ulteriormente come la vita di Woody sia cambiata. Da giocattolo preferito di Andy, con un atteggiamento pro-attivo, un ruolo da guida, ora è diventato inutile e invisibile.
Ma nonostante l’abbandono di Bonnie che non gioca più con lui e che ha occhi solo per Forky, Woody si intestardisce nel proteggere il nuovo arrivato, solo in questo modo può salvaguardare la felicità della bambina. Per Woody la sua padrona continua ad aver la priorità, ad esser la sua ragione di vita fino a quando, in una vetrina scorge la lampada di Bo.
Invece di portare immediatamente Forky da Bonnie, per la prima volta Woody prende una decisione per sé stesso, cerca la vecchia amica/fiamma mettendo così in moto un ingranaggio che porterà a una decisione molto importante che cambierà per sempre il suo futuro.
In Toy Story 4 seguiamo dunque il viaggio di quattro personaggi: Forky, Woody, Gabby Gabby e Duke Caboom, che si trovano ad affrontare diverse forme di rifiuto. Il primo soffre di una crisi esistenziale, non capisce perché ora è diventato un giocattolo, tutto quello che vuole è finire in un cestino dell’immondizia. Non fa altro che rifiutare se stesso. Woody è come se fosse diventato invisibile visto che Bonnie non lo degna neanche di uno sguardo. Ormai è alla stregua di un giocattolo perduto anche se non se ne rende conto.
Gabby Gabby e Woody sono due anime affini, entrambe cercano di gestire il loro rifiuto dedicando anima e corpo a un solo obiettivo. Ma in entrambi i casi nessuno dei due riesce a portarlo a compimento. Infine nel caso di Duke, riesce a ritrovare la fiducia in sé grazie alle parole di Bo.
La sceneggiatura riesce ad affrontare senza mai rendere banali dei temi così importanti, alternando momenti drammatici con altri più leggeri aventi per protagonisti Buzz e le due nuove entrate Bunny e Ducky. Per quel che concerne il doppiaggio invece Tom Hanks e Tony Hale forniscono le interpretazioni più toccanti della pellicola.
Che dire dell’animazione, come al solito la Pixar ha dato il meglio di sé, ma in particolare mi trovo a segnalare il magnifico lavoro del production designer Bob Pauley e dell’art director Laura Phillips e dei direttori della fotografia Jean-Claude Kalache e Patrick Lin. Gli storyboard artist hanno fornito invece l’interessante sguardo dal punto di vista dei giocattoli, in questi nuovi ambienti.
Infine vi ricordo di rimanere seduti e di non alzarvi subito dalle vostre poltrone, perché sono presenti diverse scene extra dedicate ai nostri giocattoli cinematografici preferiti.
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