Cinema Fumetti e Cinema roberto recchioni Recensioni

Esiste un solo vero Re dei Mostri

Pubblicato il 02 giugno 2019 di Roberto Recchioni

Recensione per quelli che vanno di fretta:

Peggio del primo per quello che riguarda le invenzioni registiche, meglio del primo per tutto il resto. La parte con gli umani continua a restare la cosa più debole di tutta la pellicola. Questa volta i mostri si vedono bene, tanto, e si menano per tutto il tempo. L’unica capacità recitativa di Millie Bobby Brown è voltarsi indietro piano, facendo una faccetta furba nel contempo. È un ottimo film in genere, un buonissimo film di mostri nello specifico e un buon film di Godzilla nel dettaglio.

Recensione per quelli che hanno qualche minuto in più:

Terzo capitolo del MonsterVerse (un universo narrativo popolato da alcuni mostri giganti classici) prodotta da Warner e Legendary Pictures, dopo il Godzilla di Gareth Edwards del 2014, e il Kong: Skull Island di Jordan Vogt-Roberts del 2017. Questa volta, dietro la macchina da presa Michael Dougherty, regista talentuoso che si è fatto conoscere grazie ad alcuni film horror indipendenti e poi con l’apprezzato e apprezzabile Krampus. La pellicola gode del beneplacito della Toho che ha riconosciuto il film come facente parte del canone allargato di Godzilla (lo stesso non è successo, per esempio, con il film di Roland Emmerich del 1998), pur non essendo, per i Giapponesi, un nuovo film del “vero” Godzilla (l’ultimo a essere riconosciuto come tale è Shin Godzilla, capolavoro del 2017 di Hideaki Anno). Dougherty è un vero appassionato della saga e si vede, il film è imbastito di piccoli e grandi rimandi che faranno la gioia dei fan esperti e, soprattutto, non si scorda che il pubblico che va a vedere un film di Godzilla, poi vuole vedere Godzilla e lo vuole vedere bene e possibilmente impegnato a combattere qualche altro mostro classico (qui, oltre a Mothra che, come di consuetudine, è un’alleata del nostro lucertolone atomico, ci sono anche Rodan e, soprattutto Ghidorah, storici avversari del protagonista) e, soprattutto, si è guardato con attenzione il film di Gareth Edward, capendone con chiarezza i meriti (lo straordinario impatto visivo di alcune scene) e i demeriti (una certa spocchia nel negare allo spettatore lo spettacolo dei mostri). Per rassicurare il pubblico e spazzare via ogni dubbio, il film si apre subito con una scena che ci mostra Godzilla bene e in tutta la sua possanza e prosegue con ben tre grandi scontri tra le creature protagoniste, più tutta una serie di scene extra di morte e distruzione.
I limiti del film (come da tradizione per i Godzilla americani) sono tutti nel comparto umano della pellicola: personaggi pochi accattivanti e legati a storie non così interessanti (quando non proprio banali) che interagiscono troppo e troppo direttamente con i mostri, il tutto per servire un piano emozionale esplicito e pedante che è ormai un’ossessione per il moderno cinema americano commerciale. Tra tutti, come nel primo film, si salva solamente il dottor Ishito Serizawa, interpretato dal sempre bravissimo Ken Watanabe, che è anche il protagonista di una delle scene più potenti e memorabili del film. Note di particolare demerito per Millie Bobby Brown che, chiamata ad interpretare un personaggio difficile e moralmente complesso, si limita a riporci una Eleven senza poteri, a parte quello di girarsi a guardare le cose prima di fare un sorrisetto che significa tutto e significa niente. Per il resto, un buon ritmo, begli effetti, alcune scene particolarmente spettacolari e suggestive, buona colonna sonora tanti mostri che si menano bene, con un Godzilla tosto più che mai e un Ghidorah davvero cattivo. Poi, sì, lo scritp ha delle falle logiche non indifferenti ma chi se ne frega in un film che è il corrispettivo di WrestleMania ma con i mostri giganti.
Andatelo a vedere.

Recensione per quelli che hanno tempo da perdere:

Il rapporto del cinema americano con Godzilla è complesso. Perché Hollywood lo desidera e non si è mai capacitata di come un’idea di una tale potenza iconica potesse essere venuta al Giappone e non a loro. Forse riflettere sul fatto che loro non sono stati bombardati da due ordigni atomici ma che, anzi, sono quelli che hanno bombardato, potrebbe fornirgli qualche indizio. Comunque, è dal 1956 che cercano in qualche maniera di appropriarsene, da quando cioè, la Jewell Enterprise comprò i diritti per la distribuzione del film originale di del 1954 di Ishirō Honda, “localizzandolo” con una nuova colonna sonora, un nuovo doppiaggio che cambiava il senso di alcuni dialoghi e un nuovo montaggio che inseriva trenta minuti di girato con dei personaggi americani (in particolare un giornalista interpretato da Raymond Burr). In poche parole, storpiandolo. Cosa che si ripetette pochi anni dopo con il terzo film giapponese di Godzilla (diretto sempre da Honda), King Kong vs. Godzilla e poi con The Return of Godzilla del 1984, che uscì l’anno seguente in USA con il titolo di Godzilla 1985 e che vedeva tra i protagonisti della versione rimaneggiata di nuovo Burr. E così, mentre il Giappone continuava a realizzare pellicole dedicate al più amato dei mostri giganti, passando attraverso a varie “ere” produttive e tematiche (la Showa, dal 1954 al 1975, la Heisei, dal 1984 al 1995, la Millennium dal 1999 al 2004 e l’attuale era Reiwa), producendo ventinove pellicole dedicate a Godzilla e ai suoi compari, gli Stati Uniti, nel 1994, ottenevano il diritto di poter girare un loro Godzilla, tutto americano (a parte il regista, che era il tedesco Roland Emmerich), che però era talmente brutto e lontano dal canone da essere disconosciuto dalla Toho e ridicolizzato dai fan.
Bisogna aspettare il 2014 e i soldi cinesi della Legendary Pictures (assieme a quelli della Warner) per avere un primo Godzilla “made in USA” che riscuota successo di pubblico e critica e che dia il via a un vero e proprio nuovo universo cinematografico a base di mostri giganti che corra parallelo a quello giapponese (che, intanto, mettono in cantiere il loro nuovo Godzilla, affidandolo a Hideaki Anno). Nella prima pellicola della nuova serie americana, Gareth Edwards fa la scelta più saggia e, invece di confrontarsi con il Godzilla originale di Honda (quello del 1954 che presentava il mostro gigante come un nemico dell’umanità e allegoria della minaccia nucleare) si rifà all’interpretazione più giocosa delle pellicole successive, dove il vecchio Godzy è una forza della natura distruttiva (ma anche portatrice di vita), tutto sommato, benevola nei confronti del genere umano. Un guardiano che ci protegge quando altre minacce giganti decidono di andare a farsi quattro passi sui palazzi delle nostre metropoli. Il film di Edwards ha buon successo di pubblico e un discreto apprezzamento della critica, riuscendo a porre una solida prima pietra per la nascita del MonsterVerse Legendary. C’è qualcosa di ironico nel fatto che il primo Godzilla americano di successo sia frutto del lavoro di una compagnia con capitali cinesi, non trovate? Comunque sia, al Godzilla del 2014 segue Kong: Skull Island del 2016, dove Godzilla non appare ma è pesantemente evocato. Il film è meno buono ma, tutto sommato, al botteghino fa il suo e il progetto procede spedito fino a questo Godzilla II: King of the Monsters, affidato a Michael Dougherty, giovane regista di talento che si è fatto le ossa negli horror a basso budget. Dougherty, rispetto a Edwards, ha una minore sensibilità artistica ma è anche meno snob. Gli piacciono i mostri ed è davvero appassionato della saga di Godzilla, quindi mette in scena una pellicola che omaggia la trilogia di pellicole diretta da Honda tra il 1964 e il 1965 (Mothra vs. Godzilla, Ghidorah, the Three-Headed Monster e Invasion of Astro-Monster) rendendola coerente con l’universo narrativo voluto da Warner e Legendary, reintroducendo tutta una serie di creature ed elementi classici per il franchise.
Il risultato è un film molto divertente e riuscito nel ritmo, davvero spettacolare nella messa in scena (anche se la classe e il tocco speciale di Edwars non ci sono più) e davvero soddisfacente per i fan del genere (ma anche per un pubblico semplicemente appassionato di pellicole spettacolari con begli effetti speciali). Il punto debole sono i personaggi umani, meno invasivi e noiosi che nel primo capitolo ma comunque molesti nel loro portare avanti storie di scarso interesse per il pubblico. In particolare, il personaggio di Millie Bobby Brown è particolarmente fastidioso e mal sviluppato nella sua dubbia morale. Stendiamo poi un velo pietoso sull’interpretazione dell’attrice che non sembra capace di uscire dalla monoespressività del personaggio di Undici, portato a schermo in Strangers Thing. Unica narrazione umana davvero interessante è quella che riguarda il dottor Ishiro Serizawa, personaggio già apparso nel primo film e sempre interpretato da Ken Watanabe. A Serizawa spetta un momento storico per la saga complessiva dei film del lucertolone (spoiler: il primo contatto fisico tra un essere umano e Godzilla) che arriva al culmine di una scena molto intensa e spettacolare. Detto questo, la trama è costellata di qualche buco logico, qui e lì, e le forze militari umane avrebbero bisogno di un generale più preparato, ma nel complesso sono difetti veniali rispetto al grande coinvolgimento che la pellicola sa suscitare ogni volta che un mostro gigante appare a schermo. Inoltre, Godzilla è più figo che mai e, nel finale, ci riserva anche un “trucco” a sorpresa che farà impazzire gli esperti della serie (spoiler: il Meltdown Godzilla).
In conclusione, Godzilla II: King of the Monsters è un buonissimo capitolo della saga “ludica” di Godzilla e ve lo consiglio caldamente.

Poi, se volete vedere un’incarnazione moderna e seria del lucertolone, che si rifaccia al capitolo originale di Honda e non ai successivi, il mio consiglio è di guardarvi, o riguardarvi, quel capolavoro di Shin Godzilla del 2016.

ILLUSTRAZIONE ESCLUSIVA DI ROBERTO RECCHIONI

Vi invitiamo a seguire il nostro canale ScreenWeek TV. ScreenWEEK è anche su Facebook, Twitter e Instagram.