Wolf Call – La nostra intervista al regista Antonin Baudry: “La poesia può nascondersi ovunque”

Wolf Call – La nostra intervista al regista Antonin Baudry: “La poesia può nascondersi ovunque”

Di Filippo Magnifico

Il 27 giugno arriverà nelle nostre sale Wolf Call – Minaccia in alto mare. Al centro della storia un giovane uomo che ha il raro dono di riconoscere ogni suono che sente. A bordo di un sottomarino nucleare francese ogni cosa dipende da lui, “l’orecchio d’oro”. Tutti lo reputano il migliore, finché un giorno non commette un errore che mette l’equipaggio in pericolo di vita. Per cercare di recuperare la fiducia dei suoi compagni, finirà per mettersi in una situazione ancora più drammatica. Nel mondo della dissuasione nucleare e della disinformazione, si ritroveranno tutti intrappolati in un ingranaggio incontrollabile. Nel cast Omar Sy, Mathieu Kassovitz, Reda Kateb e François Civil.

Il regista Antonin Baudry

Dietro la macchina da presa Antonin Baudry, regista francese il cui curriculum è decisamente diverso da quello di molti altri colleghi. È stato consigliere di Dominique de Villepin, al ministero dell’Interno e degli Affari Esteri, e ha lavorato nell’ambito della diplomazia culturale a Madrid e New York.

Appassionato di letteratura e cinema, Baudry ha esordito scrivendo sotto lo pseudonimo di Abel Lanzac con Christophe Blain i due albi del fumetto di successo I segreti del Quai d’Orsay. Cronache diplomatiche (2010-2011), che ha poi contribuito ad adattare per il grande schermo con Bertrand Tavernier. Wolf Call – Minaccia in alto mare è il suo esordio alla regia di un lungometraggio. Una storia importante, classica e contemporanea al tempo stesso, in grado di riflettere in maniera avvincente su tematiche particolarmente delicate e attuali.

Abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare Antonin Baudry, durante questa chiacchierata è emerso quanto questo film, pur soffermandosi su una realtà particolarmente settoriale come quella della marina militare, sia in grado di parlare a tutti.

Il suo esordio dietro la macchina da presa ricorda i grandi classici di genere, come Caccia a Ottobre Rosso. Wolf Call sembra un film d’altri tempi. In un periodo in cui l’azione esagerata sembra essere l’unica cosa che conta, ha deciso di realizzare un film che va nella direzione opposta. Come mai?

Volevo che questo film fosse in grado di intrattenere pur essendo rilevante. Non viviamo in un mondo di supereroi. Il nostro è un mondo umano. In questo mondo l’umanità non fa altro minacciarsi a morte, attraverso armi di distruzione di massa, cambiamento climatico, degrado ambientale, etc. Fare un film che tratta questi problemi è una grande responsabilità. E per quanto mi riguarda, con questo tipo di storia, questa responsabilità implica anche un alto grado di realismo. Tutto quello che ho mostrato nel film potrebbe succedere. Si tratta di un regola che ho imposto a me stesso a al resto del team. La sfida è sempre stata mantenere questa sottile linea che separa il realismo dal divertimento. È stata una sfida piuttosto emozionante.

Quanto studio c’è voluto per realizzare questo film? L’uso del linguaggio tecnico, la profonda cura con cui è stato ricreato un universo di certo non semplice come quello dei sottomarini mettono in evidenza una studio profondo.

Molto! ho passato settimane sottacqua a scrivere la sceneggiatura in diversi sottomarini nucleari. Ho dormito su una piattaforma per siluri, proprio come il protagonista del film. Ho anche intervistato molte persone sulla terraferma, passato giorni in una base navale, osservando tutti mentre erano impegnati con la loro quotidianità. Ho passato molto tempo facendo pratica con la simulazione dei sonar. Penso di essere arrivato al punto di capire tutto sui sonar, la mia formazione scientifica è stata molto utile da questo punto di vista. Ho portato tutti i personaggi principali a bordo di un sottomarino, li ho fatti immergere uno ad uno. Ci siamo preparati molto.

Allo stesso modo anche il cast deve essersi addestrato duramente per risultare credibile…

Sono diventati sommergibilisti. Un giorno, sul set, avevamo finito di girare una scena ma non avevo detto “cut”. Non c’era altro nella sceneggiatura in grado di offrire spunti agli attori. Ma invece di fermarsi, loro hanno deciso improvvisare, usando in maniera perfetta il linguaggio tecnico. Ero sbalordito. Una volta arrivati in sala di montaggio, ho deciso di mantenere nel film una parte di quel momento. Era superbo.

In tutto il film si avverte questo strato di tensione latente, pronto ad esplodere da un momento all’altro. Si tratta di una metafora del tempo in cui viviamo?

Sì. Sono del parere che tutti noi possiamo sentire questa tensione nell’aria, giusto? Quando ho scritto e girato il film la sentivo anch’io. Nella vita di tutti i giorni è decisamente spiacevole sentire questa tensione ma sul set è stato straordinario poterla trasformare in energia creativa. Mi ha fatto sentire felice. Ogni volta che riesce a trasformare qualcosa di negativo in energia creativa mi sento felice.

Il protagonista del film ha il raro dono di sapere riconoscere ogni suono che ascolta. La sua è una figura fondamentale, perché nonostante i suoi difetti riesce a salvare una situazione che potrebbe avere conseguenze a livello globale. Il tutto in un contesto geopolitico particolarmente teso. C’è per caso un messaggio nascosto in tutto questo? Una riflessione sul tempo in cui viviamo, un invito a fermarsi ad ascoltare ciò che ci circonda prima di agire?

La funzione dell’Orecchio d’Oro è al tempo stesso vitale e poetica. Vitale perché tutto a bordo del sottomarino si basa sulla sua percezione del mondo esterno. Poetica perché la sua funzione è quella di dare parole a fenomeni sconosciuti, interpretarli. Esattamente quello che fa la poesia. È stato sorprendente per me trovare della poesia in un ruolo chiave della marina. Al contrario non è stato sorprendente capire che l’orecchio umano è ancora migliore delle macchine. Mi stavo chiedendo: cosa può salvarci da tutta l’auto distruzione a cui siamo esposti? Tendo sempre a pensare che per evitare il peggio dovremmo sempre agire come coscienze umane in contrapposizione a quelle meccaniche. È il fulcro del film. Ogni personaggio vive un grande dilemma interiore: “devo continuare a seguire gli ordini come mi è stato insegnato e come ho promesso, o dovrei pensarci ancora una volta?”
È una situazione tragica in cui tutti possiamo sentirci coinvolti. La mia intenzione era realizzare una tragedia greca ambientata nel mondo contemporaneo.

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