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Rocketman presentato a Cannes 72, la nostra recensione

Pubblicato il 17 maggio 2019 di Andrea D'Addio

Un film su una persona ancora in vita è sempre rischioso. Soprattutto se è anche tra i produttori della pellicola. Rocketman, da questo punto di vista, è un film quanto mai ambizioso: come raccontare in maniera (almeno apparentemente) onesta cadute, contraddizioni e il presente di un artista facendo in modo che a fine film si abbia ancora più voglia di sentire le sue canzoni? La scelta di Lee Hall, sceneggiatore, Dexter Fletcher, regista e probabilmente dello stesso John, è di soffermarsi soprattutto sulla prima fase della carriera di “Rocketman” (Uomo razzo), quella che lo ha messo davanti alle difficoltà di gestire il successo, l’omosessualità e le dipendenze da droghe e alcol, lasciando ad una serie di didascalie sui titoli di coda il riassunto di ciò di significativo è accaduto dagli anni ‘80 in poi.

una grandiosa messa in scena, degna dei migliori musical

Il film supplisce a questa assenza di informazioni forse attese con una grandiosa messa in scena fatta di costumi, coreografie e raccordi narrativi musicali degni dei migliori musical. Seppur a volte si abbia la sensazione che alcune canzoni entrino in maniera innaturale nella narrazione (come nel caso di Tiny Dancer), come se ci si trovasse ad un concerto con la playlist scelta del pubblico, in altre occasioni il testo dei capolavori di John sembra essere nato per raccontare un pezzo della sua vita. Se il termine di paragone naturale è Bohemian Rhapsody, visti temi, protagonisti, regista (Fletcher che ha raccolto il testimone di Synger nella pellicola su Mercury) e vicinanza delle date di uscita, si può dire che se il film su Mercury racconta in crescendo il rapporto tra sofferenza, dedizione e talento, qui il talento ci viene subito sbattuto in faccia e ci si aspetta solo la caduta e la già conosciuta ripresa. Se per Fletcher è un’ottima scusa per dare libero sfogo alla sua fantasia: soprattutto la prima parte del film è un vero tripudio di immagini e creatività, per Edgerton è l’occasione per dimostrare la sua eccezionale bravura: al di là del canto, gli bastano poche scene di veri dialoghi per dare spessore al suo personaggio e lasciare che ci accompagni fino alla fine facendo il tifo per lui. Il risultato è una pellicola che forse non poteva essere realizzata meglio di così, ma nonostante questo lascia un pochino di amaro in bocca.

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