Sobborghi di Parigi. Il furto di un cucciolo di leone dal circo di un gruppo di gitani innesca una spirale di recriminazioni e violenza tra le varie comunità della banlieu. Viene coinvolta anche la solita pattuglia di polizia che da dieci anni lavora nell’area spesso oltrepassando i limiti della legge. Di mezzo però, oltre a questioni economiche, razziali e religiose degli adulti, ci sono anche i bambini, liberi di giocare in strada tanto quanto di organizzarsi e prendere di petto “i grandi” senza nessuna inibizione legata ad età o conseguenze.
Si muovono in gruppo, non c’è bisogno di identificarne uno per capire le pulsioni di tutti. Sono loro che appaiono nella prima scena di Les Misérables ed è uno di loro a chiudere il film, in una circolarità in cui vita e morte sono unite tanto quanto lo sono, per velocità del battito del cuore, euforia e rabbia. La Francia di oggi, quella che vince i Mondiali schierando quasi solo transalpini di seconda e terza generazione, è questa. La conosce bene Lady Lj, il cineasta – qui al debutto con un film di finzione – dietro a questo solido progetto. Lj è cresciuto in quei luoghi, li respira ogni giorno (vi ha aperto anche una scuola gratuita di cinema assieme a vari rinomati artisti tra cui JR) e sentiva il bisogno di raccontarli. Lo ha fatto un anno fa con un cortometraggio, prova generale del lungometraggio ora presentato in concorso al Festival di Cannes e di cui sentiremo probabilmente parlare anche dopo. Senza inventarsi nessuna particolare tesi narrativa o linguaggio, Les Misérables segue in ordine cronologico e sguardo a volte quasi documentaristico i suoi protagonisti dando estrema solidità a tutto l’impianto, dicendo bene ciò che ha deciso di dire e lasciando allo stesso tempo il pubblico pieno di domande aperte.
Per la capacità di sintetizzare la complessità di come povertà e degrado influenzino a vari livelli chiunque viva il micromondo della periferia cittadina parigina, sembra una delle cinque stagioni della splendida serie The Wire. Il crescendo della tensione però è degno dei migliori film polizieschi, perfetto sia nella creazione della suspense che nella scelta di quell’ultima immagine da fiato sospeso. Se vi chiedete le ragioni del titolo, è in una frase a fine pellicola tratta dal capolavoro di Victor Hugo. La sensazione è che la pellicola sarà tra quelle premiate al 72esimo Festival di Cannes dove è stata presentata in concorso.
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