It’s good enough for me, yeah yeah yeah yeah yeah, cantava Cyndi Lauper nel video di The Goonies ‘R’ Good Enough. Un minifilm in due parti con André the Giant, Roddy Piper, il primo Super Mario live action Lou Albano e tanti altri wrestler, negli anni in cui la Lauper bazzicava i ring della WWF. Because anni 80. Ma che quell’idea dei Goonies – che ancora non si chiamavano così – fosse abbastanza buona per lui e per tutti, lo pensava qualche tempo prima anche chi l’aveva partorita. Un giovanotto chiamato Steven Spielberg.
Richard Donner ha appena finito di montare Ladyhawke, quel film girato in Italia in mezzo agli scioperi e con una troupe che parlava troppo e non lo capiva, quando riceve una telefonata. “Ciao, Richard, sono Steven. Ho questo soggetto fantastico per un film, ma non posso dirigerlo io. Vuoi occupartene tu?”. Spielberg ha immaginato “The Goon Kids”, questo il primo titolo del progetto, come la risposta a una semplice domanda: cosa possono fare dei ragazzini sfigati di un quartiere sfortunato, nei giorni di un’estate piovosa, per vivere una grande avventura?
Richard Donner avrebbe bisogno di un po’ di riposo dopo la frustrante esperienza europea di Ladyhawke, ma pensa che un progetto leggero, un “film semplice” e divertente possa dargli una botta di allegria e aiutarlo a riprendersi. Poco dopo confesserà in un’intervista di esser stato un folle a pensarlo, perché quel film semplice si trasforma “nella pellicola più difficile che abbia mai girato. Una follia!”.
Spielberg gli dà solo 14 settimane per portare a termine il lavoro: lui, Donner e lo sceneggiatore Chris Columbus, che aveva appena finito di dar da mangiare ai Gremlins dopo mezzanotte con Joe Dante, lavorano gomito a gomito per dar corpo a quel soggetto, semplicemente, come ammette Donner ai microfoni della rivista Starlog, “dando una botta di anni 80 ai classici dell’avventura per ragazzi”. Il dinamico trio pesca dai libri di Mark Twain, e dai romanzi gialli per adolescenti delle collane Hardy Boys e Nancy Drew (pubblicate in Italia, a partire dagli anni 70, nella serie Il giallo dei ragazzi di Mondadori).
Per rendere il tutto vagamente più verosimile, vengono scartate alcune idee, mentre altre prendono forma, ruotando attorno al concetto principale: ragazzi reietti il cui nome esprima personalità e stile di vita. Data è il maghetto dell’elettronica, Mouth quello che non chiude mai la bocca, Chunk quello cicciottello (“chunky”). E Mikey Walsh, il protagonista, è il generico ragazzino triste e sognatore che siamo stati tutti, alla sua età.
Il ricordo più vivido che Donner si portò dietro dei mesi sul set (alla fine circa cinque) era l’esperienza nuova e “brutale” del dirigere un gruppo di bambini. “Ho finito per amarli tutti, ma ho anche capito perché non mi sono mai sposato e non ho mai voluto figli”. A nozze sarebbe convolato poco dopo con la produttrice Lauren Shuler, ma lo stress del lavorare con tutti quei giovani attori fece dimenticare presto al regista di Superman gli italiani casinisti. “C’erano le pause per la scuola e i momenti di riposo, e la loro attenzione crollava ogni 10 secondi. E mentre ti concentravi sui due davanti alla macchina da presa, gli altri fuori inquadratura guardavano da un’altra parte o si addormentavano”.
Terminate le riprese, Donner era così distrutto che salutò i ragazzi, tutti giù di corda per la fine della festa, e se ne volò alle Hawaii con la Shuler. Dove dormì per un giorno intero. La mattina dopo, al suo risveglio, trovò l’intero cast ad aspettarlo in spiaggia: SORPRESA! Una sorpresa di Spielberg, per essere esatti. “Fu bellissimo”, ricorda Donner, ovviamente mentendo clamorosamente per educazione. “Ci siamo divertiti e commossi”. Ma la sera stessa spedì tutti su un’altra isola. Donner, che aveva fatto da surrogato a Spielberg per le riprese del film, finì per girare poco dopo anche il videoclip/minifilm in due parti con la Lauper, perché lo studio voleva a tutti i costi infilare un po’ di musica pop nel film, e viceversa.
Delle centinaia di ragazzini provinati, Spielberg e Donner scelsero i loro Goonies basandosi sulla carica di energia, vitalità e simpatia innata che chi sfilava davanti a loro era in grado di mostrare. Molti erano debuttanti, o con alle spalle piccoli ruoli televisivi: Sean Astin, figlio adottivo di John Astin (Gomez de La Famiglia Addams) e futuro Samwise Gamgee; Jeff Cohen, Kerri Green, un Josh Brolin adolescente ancora non in fissa con le gemme e le dita da schioccare. Martha Plimpton aveva già avuto un ruolo di rilievo in The River Rat con Tommy Lee Jones, Jonathan Ke Quan aveva fatto amicizia con Indiana Jones nella sgambata al tempio maledetto, Corey Feldman era già una piccola star dopo Venerdì 13 – Capitolo finale e Gremlins.
I loro antagonisti nella caccia al tesoro, i Fratelli, dovevano essere per Donner dei “nemici onesti”. Una minaccia moderata, che aiutasse la storia a scorrere. Alla fine vennero fuori più comici del previsto, “una banda di svitati”, capeggiati dalla madre – un donnone che si è fatta tatuare la parola son – e dalla sua ossessione per il suo figlio preferito, Francis (Joe Pantoliano). Anne Ramsey, scomparsa solo qualche anno dopo, voleva diventare “un cattivo che il pubblico ama odiare”, alla Darth Vader. Jake, sono tua madre. Segue schiaffone a mano aperta.
E poi c’era l’altro membro della famiglia Fratelli, Sloth. Le sue origini non le conosciamo. Donner spiegava sul Souvenir Magazine dei Goonies, nell’85, che poteva trattarsi di un “bambino deforme che in passato i Fratelli avevano preso da un circo in un momento di compassione. O di un alieno venuto da un altro pianeta”. O vattelapesca. Quel che conta è che il povero Sloth, incatenato a guardare la TV tutto il giorno, salta fuori per spaventare lo spettatore e ne diventa in pochissimo un beniamino. “Per Sloth mi sono ispirato al Gobbo di Notre Dame, in particolare al Quasimodo di Charles Laughton nel film Notre Dame del ’39”, racconta Spielberg. “Volevo un personaggio che all’inizio sembrasse repellente e che dopo un po’ ti facesse venir voglia di abbracciarlo”. “Dieci minuti dopo aver incontrato Sloth”, aggiungeva Donner, “chiunque vorrebbe portarselo a casa.
Sotto tutto quel lattice, le orecchie e l’occhio controllati a distanza e le quattro ore di trucco al giorno c’era John Matuszak, che nell’81 aveva vinto il Super Bowl con gli Oakland Raiders. Veniva da un passato triste, Matuszak, ragazzino che aveva perso due fratelli per la fibrosi cistica, e si era fatto forza del bullismo subìto a scuola per metter su muscoli e diventare un giocatore di football da 130 kg. Alla faccia di chi lo chiamava goffo spilungone. Ma dopo una vita di abusi di antidolorifici e altre sostanze, se lo porterà via a soli 38 anni l’overdose accidentale di un forte analgesico.
Donner, Spielberg e Columbus imbottiscono il film di tutto quanto passa loro per la mente. I “tracobetti”, come li chiama Data, vengono dalla passione di Columbus per le macchine di Rube Goldberg e le trappole di Wile E. Coyote a base di gadget della ACME. Per la nave di Willy l’Orbo, la Inferno, Donner vorrebbe piazzare lì solo una finta facciata del galeone, ma la cosa sfugge un attimo di mano e viene assemblata una nave lunga 32 metri ispirata ai film con Errol Flynn, soprattutto Lo sparviero del mare (The Sea Hawk, 1940), che lascia letteralmente a bocca aperta i giovani protagonisti.
Tante idee restano però, dicevamo, sulla carta o sul tavolo della sala di montaggio. Svaniscono presto le scene con la coppia di gorilla che avrebbero dovuto saltare fuori in più punti della pellicola (con i costumi riciclati da Greystoke – La leggenda di Tarzan, il signore delle scimmie con Christopher Lambert), mentre il piovrone gigante diventa oggetto di discussione tra Donner e Spielberg.
La scena con la creatura sconfitta da Data a colpi di musica pop era stata girata – e sarebbe stata riesumata anni dopo tra i contenuti extra delle edizioni in digitale del film – e il piovrone viene citato scherzosamente pure nel video con la Lauper. A Donner piaceva, a Spielberg no. E I Goonies, anche se lui non figurava ufficialmente come co-regista, era pur sempre roba sua. I giovani attori confermarono in diverse interviste che Spielberg era presente sul set praticamente tutti i giorni e che aveva imposto il suo parere su quella e altre faccende a Donner. In un incontro promozionale a Los Angeles, subito dopo l’uscita del film, il regista si disse dispiaciuto per l’assenza della piovra. Ci teneva tanto.
Le prime settimane di programmazione non erano andate benissimo per I Goonies e Donner non sapeva che sorte avrebbe avuto il suo film. “Non so proprio se avrà successo, non ha alcuna gimmick particolare per attirare il pubblico. Non ne ho idea. Quel che so è che lo studio vuole farne un seguito, dovrebbe farlo subito. Di sicuro Steven ne ha in testa uno”. Trentaquattro anni dopo, quel seguito dalla testa di Spielberg non è mai uscito.
I Goonies, arrivato in sala il 7 giugno dell’85 (in Italia il 20 dicembre dello stesso anno) vinse la sua sfida in casa Donner con Ladyhawke e incassò negli USA circa 69 milioni di dollari. È al nono posto della classifica del 1985, subito sotto a Cocoon – L’energia dell’universo di Ron Howard, Il gioiello del Nilo e Witness – Il testimone.
Non male, per una banda di ragazzini casinisti che ha fatto impazzire il regista e non sapeva star ferma davanti a una macchina da presa, no?
Vi invitiamo a seguire il nostro canale ScreenWeek TV. ScreenWEEK è anche su Facebook, Twitter e Instagram.