Il traditore, la recensione del film di Bellocchio sul pentito Tommaso Buscetta

Il traditore, la recensione del film di Bellocchio sul pentito Tommaso Buscetta

Di Andrea D'Addio

Unico film italiano in concorso al Festival di Cannes, Il Traditore racconta un pezzo di storia italiana da un punto di vista tanto inedito, quanto necessario

Lo chiamavano “il boss dei due mondi”, un modo per parafrasare il soprannome di Garibaldi declindandolo al contesto mafioso, ma Tommaso Buscetta oggi è ricordato soprattutto per le sue confessioni, le prime – come confermerà lo stesso Falcone – a fare comprendere come davvero funzionasse Cosa Nostra dall’interno.

La sua storia, nel film di Marco Bellocchio, nasce proprio da quando “Don Masino” decide di allontanarsi dalla Sicilia e tornare in Brasile, lì dove aveva già vissuto per alcuni anni e conosciuto l’ultima moglie, suo grande amore. Sono i primi anni ’80 e mentre la vecchia Mafia e il clan dei corleonesi stringono un patto di non belligeranza, Buscetta sembra fare un passo indietro, quasi l’inizio di un percorso che pochi anni dopo lo porterà ad appoggiare la giustizia e farsi chiamare – per l’appunto – “il traditore”.

Il maxiprocesso di Palermo degli anni 1986/87 con il celebre faccia a faccia con Pippo Calò, la vita sotto protezione negli Stati Uniti, la testimonianza contro Andreotti per “vendicare” la morte di Falcone, a suo dire coperta dai vertici della politica, la vecchiaia e la morte: sono queste le tappe principali di un film che – differentemente dai precedenti lavori biografici di Bellocchio cone Buongiorno notte (sul rapimento Moro) e Vincere (su Mussolini) rimane fortemente legato ai documenti storici, senza tentare lirismi o interpretazioni politiche particolari.

Al centro di Il traditore ci sono  la (seconda) vita di Buscetta e l’interpretazione superlativa che ne dà Pierfrancesco Favino: Bellocchio si accontenta di questi due elementi a costruire il dramma di una persona tanto inizialmente ambigua quanto, in un secondo momento, idealista (almeno nel film). Il succedersi degli eventi lascia a Favino il compito di dimostrare, nei suoi intermezzi sia con il  corpo che con le intonazioni della voce (che sia portoghese, siciliana o italiana) , il dramma di una persona che ha paura più per la propria famiglia che per la propria vita.

Il ritmo è sostenuto, ogni parola necessaria. In un attimo siamo accanto a Buscetta e fare il tifo perché tenga duro e resista agli attacchi di chi ne attacca la credibilità. A livello filmico è perfetto eppure – visto che si parla di storia vera e già conosciuta dagli spettatori- proprio l’avere costruito un  eroe positivo a tutto tondo rappresenta l’aspetto debole del film. Del rischio sembrano essere consci gli stessi sceneggiatori (Bellocchio ha scritto Il traditore con i fidati Valia Santella, Ludovica Rampoldi, Francesco Piccolo) che, con un finale che sembra scritto a tavolino, smussano un po’ la mitizzazione del personaggio, senza però riuscirci fino in fondo. Dopo due ore di pellicola, nonostante Favino sia continuamente in scena, si ha ancora la sensazione di non conoscere fino in fondo Buscetta, come sia cresciuto, perché abbia deciso davvero di collaborare e se davvero credesse in tutto ciò che disse. Chissà, forse non lo sapeva neanche lui. Ed è per questo che nei libri di storia se ne parlerà sempre con cautela.

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