I morti non muoiono, Jim Jarmusch apre Cannes con gli zombie: la recensione

I morti non muoiono, Jim Jarmusch apre Cannes con gli zombie: la recensione

Di Andrea D'Addio

Il Festival di Cannes inizia con I morti non muoiono, nuovo film di Jim Jarmusch che passa al mondo degli zombie dopo aver rappresentato i vampiri con Solo gli amanti sopravvivono 

“Finirà male”: è questa la frase ricorrente di I morti non muoiono, nuovo film di Jim Jarmusch. A ripeterla in diverse occasioni è Ronnie (Adam Driver), poliziotto della piccola comunità di Centerville. Del resto quando si cominciano a vedere cadaveri uscire da un cimitero alla ricerca di sangue non si può pensare che sia una tranquilla giornata come altre. Ciò che in questo caso cambia rispetto alle reazioni di altri protagonisti di pellicole sullo stesso tema è la reazione dei personaggi principali. Combattono, ma prendono con una certa ironica consapevolezza (se non apatia) l’idea che la morte sia dietro l’angolo.

Non ci avete capito nulla? Nessun problema. Jarmusch volutamente destruttura la convenzionale narrazione dei film horror per creare un gioco ricco di riferimenti sia ai padri del genere che del suo stesso cinema. Non ci sono eroi e se ci sono scappano per un altro pianeta.  A legare tutti i personaggi, vivi o morti che siano, è l’essere parte di un sistema capitalistico pronto al collasso. I morti che si risvegliano desiderano ciò che volevano in vita: una rete wifi mentre passeggiano con il cellulare in mano, un buon caffè al mattino, un makeup che li faccia sembrare belli quando faranno un selfie,  giocattoli e vestiti. Tutto ciò che sembra minimamente complicato come ascoltare il notiziario alla radio e scoprire che l’asse terrestre si è spostato a causa degli sconvolgimenti climatici del nostro presente viene consciamente evitato. Ci si penserà dopo. Quando non è ben chiaro, nel frattempo il mondo crolla, ma vabbeh. La metafora è tanto forte quanto malinconica. Allora, tutto perfetto?

Il trailer de I morti non muoiono

La nostra risposta è no. Al di là del discorso sociale/politico e alcune ottime intuizioni comiche, Jarmusch sembra aver fatto un film per sé stesso e i suoi amici. Lancia tanti ami senza raccoglierli tutti, abbozza personaggi senza dargli un minimo di spessore e quando anche capisce di star tirando un po’ troppo la corda con la capacità dello spettatore di seguirlo così lontano si giustifica inserendo dialoghi del tipo: “è un film e questa è la sceneggiatura”. E così, nonostante la simpatia di tutto il cast, da Bill Murray a Tilda Swinton, passando per le fugaci apparizioni di Iggy Pop, Danny Glover, Tom Waits, RZA, si esce dal film con la sensazione di aver assistito al divertimento di qualcun altro, non del nostro.

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