Avengers: Endgame, alba e tramonto nel MCU: la recensione

Avengers: Endgame, alba e tramonto nel MCU: la recensione

Di Lorenzo Pedrazzi

Alba

Ve lo ricordate il primo Iron Man? Era il 2008, e le Cassandre già scommettevano sul declino dei cinecomic. Molti però dovettero ricredersi quando videro l’alba del Marvel Cinematic Universe, grazie a una formula che i Marvel Studios applicarono fin dall’inizio: da un lato la continuity narrativa dell’universo condiviso (che già fece la fortuna dei fumetti nella Silver Age), e dall’altro la focalizzazione sulla crescita dell’eroe, più che sulla genesi degli antagonisti. Non a caso, molti hanno criticato lo scarso spessore dei villain in questi film, ma la ragione è piuttosto semplice: Kevin Feige ha sempre saputo che, per ottenere successo, bisognava puntare sulla fidelizzazione del pubblico, fare in modo che si affezionasse a questi supereroi e ai loro superproblemi, evitando di nasconderli dietro l’ombra seducente dei “cattivi”. Così, la personalità guascona di Tony Stark conquistò immediatamente gli spettatori, insieme al suo cammino di crescita e redenzione umana, passando da tecnocrate guerrafondaio a garante della pace. Perché l’inizio del Marvel Cinematic Universe sta tutto lì: un uomo disperato dentro una caverna buia, che batte con il martello su quella che diventerà l’armatura Mark I

Giorno

È bene tenerlo a mente, quando si assiste ad Avengers: Endgame. Bisogna ricordare che tutto questo ha avuto un inizio preciso, con quell’uomo e il suo svelamento finale, «Io sono Iron Man», pronunciato davanti agli increduli giornalisti nell’epilogo del film. Piaccia o meno, quel gigantesco Leviatano che è il Marvel Cinematic Universe è stato costruito con minuzia, spesso con furbizia, nell’arco di un decennio straordinario, dove i Marvel Studios hanno dimostrato di saper intessere un grande racconto seriale anche sul grande schermo. Ogni personaggio ha un volto riconoscibile, e persino eroi considerati “minori” (come i Guardiani della Galassia, ma anche lo stesso Iron Man non è che fosse così popolare) si sono guadagnati un posto nell’immaginario collettivo. Parlare di mitologia contemporanea è una semplificazione eccessiva rispetto alla vera natura del “mito”, ma rende l’idea: in fondo, si tratta pur sempre di rileggere la realtà attraverso una lente fantastica e talvolta metaforica, in grado di esplicitare i principi basilari che regolano la vita, la morte, la vittoria, la sconfitta, il bene, il male e tutto ciò che si trova in mezzo. Non è un caso che molte di queste storie – si pensi al recente Captain Marvel – siano racconti formativi; sono storie che formano gli individui, prima ancora degli eroi.

In tal senso, la drammatica criticità di Infinity War rappresenta il momento della prova più dura, quella che mette in discussione l’ordinamento stesso dell’universo e le convinzioni dei suoi abitanti. Avengers: Endgame riparte esattamente da qui, e sviluppa una trama imprevedibile che – se si esclude qualche dettaglio – nemmeno i fan più speculativi sono stati capaci di prevedere. Potreste avere una vaga idea di ciò che vi aspetta, ma rimarrete comunque sorpresi. I registi Anthony e Joe Russo, con gli instancabili Christopher Markus e Stephen McFeely alla sceneggiatura, confezionano un blockbuster prismatico e ramificato che coagula in sé molti film diversi: un po’ melodramma e un po’ commedia, un po’ caper movie e un po’ space opera, azione e fantascienza, epico e catastrofico. Solo la parte centrale risulta un po’ frammentaria, ma forse era inevitabile, viste le ambizioni del copione. Essendo il culmine della Infinity Saga (ovvero, la macronarrazione che raccoglie le prime tre Fasi del MCU), Avengers: Endgame si preoccupa di riannodare i fili, elaborare i lutti, recuperare tutto ciò che è stato lasciato in sospeso. E lo fa attraverso l’eterno ritorno delle storie, dei personaggi e delle ambientazioni, attingendo a quello stesso immaginario che ha edificato nel corso degli anni.

Anche per questo, l’azione pare quasi secondaria. Ovviamente c’è, ed è grandiosa, ma il focus si concentra sulle esigenze dei legami emotivi. I fratelli Russo pizzicano corde struggenti, conoscono le aspettative del pubblico e sanno come soddisfarle: basta una parola o un semplice sguardo tra due personaggi, e subito emergono numerosi sottotesti impliciti, in un film ad alto tasso di bromance. Ci si esalta nei punti giusti, si ride nei punti giusti, si fa il tifo e si soffre con i nostri eroi: insomma, il cinema delle attrazioni al massimo delle sue potenzialità, dove il grande spettacolo visivo non è mai algido e distaccato, bensì ci ricorda che la posta in gioco è sempre altissima. In Infinity War c’era forse una tensione più costante, valorizzata anche dalla centralità di Thanos, ma qui si arriva a un ultimo atto di completa sublimazione, dove gli occhi si riempiono di meraviglia. E allora è chiaro: questi personaggi significano qualcosa per la gente. Undici anni non sono passati invano.

Tramonto

Quando si parla di “culmine”, o di “epopea definitiva”, è facile pensare al crepuscolo del Marvel Cinematic Universe e al tramonto dei Vendicatori. La verità però è un’altra. Certo, Avengers: Endgame è un colossal iconoclasta, ma i miti si evolvono, cambiano, si trasformano nel tempo passando di bocca in bocca. Sono fluidi: non avranno mai fine, ma difficilmente rimarranno identici a loro stessi. Viene da ripensare all’inizio di tutto, a quell’uomo ferito nella caverna, ai suoi colpi di martello sulla lamiera. Un cerchio si chiude, ma la realtà non è bidimensionale: al contrario, è profonda e sfaccettata. Lo stesso vale per il MCU, dimensione magmatica e corale che si espande al ritmo dei suoi protagonisti, aprendosi a un futuro politicamente corretto che abbraccia la diversità. Il giorno si chiude, cala la notte, ma una nuova alba ci sarà sempre.

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Avengers: Endgame

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