La prima stagione di The OA, controversa, misteriosa ed incredibilmente affascinante serie originale Netflix, ci aveva lasciato lo scorso anno con moltissimi interrogativi. Primo fra tutti: Prairie, the Original Angel (o il Primo Angelo nella versione italiana) diceva la verità riguardo il suo viaggio, la sua prigionia, i famigerati movimenti, oppure no?
La risposta (affermativa) è subito esplosa nel primo episodio della seconda stagione: non solo gli autori hanno deciso di confermare pienamente la fantastica storia della protagonista, ma hanno dotato il mondo dove lo show si svolge di ben precise e predeterminate regole, rivelando pian piano al pubblico il funzionamento di un multiverso fatto di realtà alternative e di viaggi fra di esse, di sogni premonitori e di percorsi mistici, di viaggiatori ambigui, natura spirituale e (si, davvero) di polpi telepatici. Figlio di logiche talmente candide e semplici nella loro eccezionalità da risultare spesso spiazzanti.
Ecco quindi quello che sappiamo dell’universo narrativo dove si muovono Prairie (o Nina), Hap, Homer e tutti gli altri protagonisti della storia (nonché le loro “versioni alternative”):
Nel finale della seconda stagione, Hap ha imparato da Elodie che è possibile “meccanizzare” i movimenti tramite degli appositi marchingegni, che li ripetono alla perfezione. Il suo piano è trasportare Prairie/Nina in una realtà dove la donna è innamorata di lui, per vivere una vita felice insieme a lei: contemporaneamente però, nella realtà “originale” di Prairie, BBA, Steve e gli altri stanno anch’essi compiendo i movimenti, per cercare, ad una dimensione di distanza ma nello stesso luogo, di evitare il viaggio forzato alla loro amica.
Ciò che accade è unico: le due serie di movimenti entrano in “collisione”, e Prairie inizia a fluttuare, bloccata nel nesso di tutte le dimensioni: l’Original Angel si trova ad “un atto di fede” dal saltare in qualsiasi realtà desideri. Ma al nesso fra le dimensioni, che si trova dietro il rosone nella famosa casa di Nina, arriva proprio in quel momento anche Karim: aprendolo, l’uomo rompe l’equilibrio così creatosi, facendo precipitare Prairie proprio nella realtà dove Hap la attende (e dove probabilmente alla fine è saltato anche Homer).
Se per Karim l’apertura del rosone (che non può attraversare, probabilmente perché nella realtà che vede attraverso di esso non esiste una sua controparte in vita) rappresenta la positiva fine di un viaggio, poiché riesce così a ritrovare la Michelle della sua realtà (che capiamo solo ora essere precedentemente saltata nel corpo del Buck – o meglio del suo interprete Ian Alexander, ma di questo parleremo dopo – di questa nuova dimensione), per Prairie rappresenta l’inizio di un nuovo incubo, a cui però era probabilmente destinata. L’arrivo di Karim proprio in quell’esatto momento era infatti stato oggetto di vari sogni premonitori, e come forse ci verrà spiegato in seguito, pare essere stato provvidenziale.
Il colpo di scena più affascinante è determinato dalla speciale connotazione della realtà nella quale Hap, Prairie e scopriremo poco più avanti anche Steve (con tutta probabilità anche Homer e forse anche BBA) sono arrivati: si tratta infatti della nostra realtà, dove gli attori protagonisti dello show stanno appunto girando l’ultima scena della seconda stagione di The OA. Ascoltare l’attore Jason Isaacs, interprete di Hap, esclamare “Sono Jason Isaacs” è esaltante quanto spiazzante, mentre anche la versione alternativa di Prairie è incarnata dalla sua reale interprete, Brit Marling (una grande differenza con la realtà è determinata però dal fatto che i due, nella vita reale, non sono davvero sposati, come sembrerebbero invece essere in questa sede).
The OA vuole forse lasciarci intuire quindi che anche l’immaginazione può essere uno dei modi con cui la mente riesce ad accedere – inconsciamente – alle realtà alternative; lo show addirittura solletica l’idea che qualsiasi film, serie tv o racconto in generale possa in realtà risultare l’espressione di un mondo parallelo, in un multiverso omnicomprensivo fatto di realtà multi-media-reali tutte collegate fra loro.
All’opposto però, l’epilogo della stagione solleva una questione che si riallaccia al finale della prima: possibile che il trauma cranico ricevuto da Brit Marling/Prairie (che metaforicamente è anche la creatrice della serie) sia alla base di tutto ciò che abbiamo visto finora, nato dalla sua impossibilità di distinguere l’illusione (della serie che stava girando, proprio The OA) dalla realtà?
Di nuovo, siamo costretti a mettere in dubbio che il mondo di Prairie/Nina/Brit sia reale, e chissà per quanto tempo ancora. Netflix, ti preghiamo, non farci aspettare troppo prima della prossima stagione. La nostra mente è già aperta. Abbiamo fede. Siamo già pronti.
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