7 cose che forse non sapevate su Slam Dunk

7 cose che forse non sapevate su Slam Dunk

Di DocManhattan

Slam Dunk. Il manga del grandissimo Takehiko Inoue, ma anche l’anime omonimo, approdato nel 2000 su MTV e diventato famoso anche per quello che succedeva fuori dai campi di basket. O: “Slam Dunk, la sua storia e come si è arrivati alla faccenda della prugnetta”.

1. MILIONI E MILIONI DI PALLONI

Tutto nasce nel 1990, quando inizia ad essere serializzato sulla rivista Weekly Shonen Jump il nuovo manga di Takehiko Inoue. Slam Dunk, la storia del teppista Hanamichi Sakuragi, dedicatosi al basket per amore, e dei suoi compagni della Shohoku, va avanti per sei anni. 31 volumi e una quantità di copie vendute semplicemente spaventosa: oltre 120 milioni di volumetti.

La trasposizione animata di Slam Dunk, curata dalla Toei, debutta su TV Asahi il 16 ottobre del ’93. Slam Dunk arriva in Italia nell’autunno del 2000, su MTV, per poi essere replicata su 7 Gold e GXT. Diventa presto famosa per un adattamento che va in controtendenza con quanto visto in tantissimi altri anime nel nostro paese. Ma di quello parliamo tra un attimo.

2. PARTITE EXTRA

Oltre alla serie TV, che lascia fuori tutta la parte del torneo nazionale, esistono quattro film di Slam Dunk, usciti in Giappone tra il marzo del ’94 e l’ottobre del ’95. Quattro mediometraggi, dalla durata compresa tra i 30 e i 45 minuti, in cui si raccontano storie nuove, non presenti o solo accennate nel manga. Partite amichevoli, allenamenti e vecchi amici che saltano fuori per una rimpatriata di una mezz’oretta al massimo.

Dopo il brusco finale di Slam Dunk, Inoue continuerà a raccontare storie di basket con i manga Buzzer Beater (’97-’98) e Real (dal ’99, ancora in corso), incentrato su un giocatore in sedia a rotelle e portato avanti dal maestro nipponico in parallelo con il suo Vagabond. Se non avete mai letto niente di Inoue, vi state facendo un torto grandissimo, ragazzi. Sappiatelo.

3. IL BASKET, QUESTO SCONOSCIUTO

Slam Dunk ha contribuito enormemente, su carta e in TV, alla diffusione dell’amore per il Basket nel Sol Levante. Al punto che la Japan Basketball Association ha espresso pubblicamente il suo ringraziamento nei confronti di Inoue, premiando il mangaka nel 2010. Il fatto è che Inoue aveva scelto quello sport per motivi personali. Gli piaceva giocare a pallacanestro al liceo, e aveva iniziato a farlo per far colpo sulle ragazze, proprio come Hanamichi. Il basket veniva considerato ai tempi poco adatto per uno spokon, un manga sportivo, tanto che l’editor di Inoue gli consigliò di dedicarsi ad altro. Sì, anche in un mondo in cui si realizzano fumetti su qualsiasi sport anche solo mai immaginato da mente umana. O aliena. O artificiale.

Inoue tenne duro, riversò la sua esperienza nel manga, scegliendo per la squadra i colori dei Chicago Bulls e per i capelli del protagonista quelli di una delle tante capigliature dell’estroso Dennis Rodman. L’autore fu sorpreso dall’entusiasmo che la sua opera suscitò e dalle lettere di lettori che avevano iniziato a giocare dopo essersi appassionati alle vicende del team Shohoku. E se il basket era uno sport “nuovo” per tanti spettatori, lo era anche per chi ha dovuto realizzare l’anime di Slam Dunk. Masami Suda, direttore dell’animazione di molti episodi della serie, rivelò alcuni anni fa a chi vi parla che lui e gli altri animatori non avevano la più pallida idea di come si muovesse un cestista e dovettero sciropparsi una serie infinita di VHS dell’NBA…

4. PRUGNETTA: LA FOLLE STORIA DELL’ADATTAMENTO ITALIANO

Dicevamo poco sopra: laddove in tanti anime di quegli anni si è assistito a una violenta edulcorazione, si perdoni l’ossimoro, rispetto a temi e dialoghi originali, con Slam Dunk si andò nella direzione completamente opposta. Aggiungendo, anziché togliere. Il cast di doppiatori, capitanato da Diego Sabre, Ivo De Palma (il Pegasus dei Cavalieri dello Zodiaco) e Federica Valenti, diede voce a un adattamento che aggiungeva tutta una serie di termini e frasi volgari. Un tripudio di Vaccamaiala, ma-che-ficco-mi-ci-ficco, mezza-sega…

…esemplificato da scene come questa, passata alla storia della televisione italiana. Tipo.

Perché? Perché il direttore del doppiaggio, Nicola Bartolini Carrassi (ne parlavamo a proposito della vera storia di Piccoli problemi di cuore) creò un clima totalmente anarchico, in cui i doppiatori si divertirono ad esagerare, andando a briglie sciolte e trasformando i protagonisti in una banda di maniaci sboccati. E se vi state giustamente domandando: “Ma nessuno si accorgeva della cosa?”, la risposta è “Sì, ma gli episodi venivano consegnati a MTV all’ultimo secondo”. Letteralmente. Pochissime ore prima della messa in onda, quando nessuno poteva più farci nulla.

Quel che è certo è che il gergo, uh, peculiare di Slam Dunk contribuì a rendere popolare la serie in Italia, in quei pomeriggi di inizio millennio, anche presso chi aveva poco o nulla interesse per le fasi giocate sul parquet.

5. SIGLA!

La sigla di testa dell’anime, Kimi ga Suki da to Sakebitai, era cantata dai Baad, band j-Rock attiva negli anni 90 e già celebre in Giappone per il singolo Donna Toki Demo Hold Me Tight. No, anche se può sembrare, il brano non parla del fratello di Kenshiro travestito. Vi starete chiedendo a questo punto se, come per Occhi di Gatto e mille altri anime degli anni 80 e 90, esista una trasposizione live action della sigla realizzata da qualche folle.

La risposta è ovviamente sì. Se seguite questa rubrica da tempo, però, dovreste aver capito che certe domande è meglio non porsele, ecco.

6. GIOCHIAMO

Sono tanti i videogiochi di Slam Dunk usciti negli anni 90, per Super Famicom (il Super Nintendo giapponese), Mega Drive, Game Boy. Le copertine e le intro dei giochi riportavano sempre la scritta “From TV Animation” prima del titolo, bella grande, per una faccenda di diritti. Nel ’93 era infatti già uscito in sala un coin-op di Konami chiamato Slam Dunk e non legato al manga o all’anime di Hanamichi.

7. CUGINI DAI CAPELLI ROSSI

Slam Dunk ha avuto un enorme successo a Taiwan, dove a metà dello scorso decennio si decise di girare un film vagamente ispirato all’opera di Inoue. Una commedia d’azione che avrebbe dovuto intitolarsi proprio Slam Dunk, ma che per evitare grane legali uscì nel 2008 con il nome di Kung Fu Dunk. In Italia è arrivato sulla scia del successo di Shaolin Soccer, con il titolo appunto di Shaolin Basket.

E siccome tutto il mondo è paese, se siete ancora indignati per i nomi buffi dati a tutta una generazione di Oliver Hutton negli anime in Italia, al posto di quelli originali, sarete felici di sapere che in Corea del Sud è avvenuto anche di peggio per Slam Dunk. Tutti i nomi dei personaggi sono stati coreanizzati, trasformando Hanamichi Sakuragi in Kang Baekho, e lo stesso è avvenuto per negozi, scritte, cartelli e luoghi. La storia non parlava più di ragazzi giapponesi, ma di coreani che vivevano in Corea.

A un celebre cantautore coreano col capello da giovane, Kang Dong-ho, fu affibbiato anni fa da una collega (la cantante e attrice Uee) il nome d’arte Baekho, proprio perché somiglia all’Hanamichi coreanizzato. Ancora lo usa. L’amore di Slam Dunk è arrivato anche dove non sembra, pare: fatti, non prugnette.

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