This Giant Beast That Is the Global Economy, lo sguardo sornione di Adam McKay sull’economia mondiale

This Giant Beast That Is the Global Economy, lo sguardo sornione di Adam McKay sull’economia mondiale

Di Lorenzo Pedrazzi

Adam McKay si è preso tremendamente a cuore la nostra comprensione del mondo, come dimostrano le sfumature “didattiche” (ma per nulla pedanti) di due gioiellini come La grande scommessa e Vice. Più che altro, il brillante cineasta sembra aver trovato un linguaggio formale che rende digeribili alle orecchie dei “profani” anche questioni molto complesse, soprattutto in materia di politica ed economia. Pur essendo soltanto prodotta da lui, This Giant Beast That Is the Global Economy utilizza le stesse modalità narrative che hanno spiazzato e intrattenuto il pubblico nei due film sopracitati, trasfigurando questa validissima docu-serie in una “estensione” della sua idea di cinema: un’arte che ha il potere di esprimersi nello stesso idioma dello spettatore medio, e che mette in campo le sue inimitabili risorse tecniche ai fini di un lodevole impegno politico-sociale.

Arruolare Kal Penn nelle vesti di host è già di per sé una soluzione vincente, poiché l’attore americano è l’ideale congiunzione tra la sfera del pubblico e gli scenari globali trattati dalla serie: oltre ad apparire in vari film e show televisivi molto noti, Penn ha lavorato infatti come Associate Director of Public Engagement per l’amministrazione di Barack Obama, quindi non è affatto estraneo alla materia. La sua ironia ci guida attraverso otto episodi dedicati ai temi più spinosi dell’economia contemporanea, seguendo un fil rouge che lega ogni cosa, anche le nostre vite: il denaro. Una delle principali qualità di This Giant Beast That Is the Global Economy è proprio l’attitudine a interrogarsi su questioni che generalmente diamo per scontate, come l’utilizzo del denaro per ogni forma di transazione economica, mettendolo a confronto con altre possibili soluzioni (passate e presenti: dall’oro ai bitcoin, senza dimenticare il baratto). Lo stupore e le domande basilari di Kal Penn sono lo specchio di noi fruitori, della nostra ignoranza – nel senso di pura e semplice “non conoscenza” – e della nostra fondamentale ingenuità: l’intento della serie è prenderci per mano e guidarci pazientemente in territori accidentati, stimolando così una nuova consapevolezza sul nostro quotidiano.

This Giant Beast That Is the Global Economy

Sembra banale, ma non lo è per niente. Troppe informazioni ci passano davanti agli occhi senza che siamo in grado di decifrarle, ma This Giant Beast si sforza di rendere assimilabili proprio quegli argomenti che popolano i media ogni giorno, e che spesso archiviamo come irrilevanti (per la nostra esistenza) perché non li capiamo del tutto. Dal riciclaggio di denaro sporco alla contraffazione, dal business della morte alla corruzione, la serie tenta di sensibilizzare le coscienze attorno al putridume del regime capitalista, che fiorisce proprio nell’ignoranza dei cittadini. Riflettere su queste tematiche – sembrano dirci McKay e i suoi autori – significa rendersi consapevoli di una grande verità: facciamo tutti parte di una rete globale in cui siamo inevitabilmente connessi gli uni agli altri, dove un’elite finanziaria opprime le fasce più deboli della popolazione. I casi di Cipro e della Malaysia (paradisi del riciclaggio e della corruzione, rispettivamente) sono esemplari, poiché dimostrano come sia possibile costruire una economia alternativa che opera illecitamente, all’ombra del sistema o con la sua tacita complicità. Il discorso si ramifica ben oltre la specificità degli argomenti economici, e tocca anche vari aspetti tecnologici e sociali (come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale) che influenzano i mercati finanziari o li plasmeranno in futuro.

Ciò che spesso sorprende è l’approccio giocoso, utile ad agevolare la fruibilità dell’opera. Se in alcune circostanze tornano in mente i documentari di Michael Moore (basti pensare allo spaesamento di Kal Penn davanti ai prepper degli Appalachi, convinti che il collasso dell’economia trascinerà il mondo occidentale sull’orlo dell’apocalisse), This Giant Beast That Is the Global Economy tende di più verso la coralità del racconto, sfruttando tutti i registri del mezzo cinematico. I voli pindarici del montaggio ci portano da un capo all’altro del globo come se fosse un’inezia, mentre gli intermezzi comici spiegano i temi più ostici con simpatiche gag e apparizioni speciali, proprio come negli ultimi film di Adam McKay. Anche qui, la carta vincente è proprio il linguaggio: McKay condivide lo stesso immaginario del suo pubblico, e lo rievoca continuamente per favorire la comprensione degli argomenti. Ognuno di essi viene ricondotto a qualcosa di riconoscibile (un ambiente, una figura popolare, una situazione quotidiana…) e trattato in forma metaforica, con un trasferimento di significato che lo spettatore può capire immediatamente.

In tal modo, This Giant Beast That Is the Global Economy rende inclusivo ciò che normalmente è esclusivo, inventandosi una sorta di “infotainment” che funziona davvero bene. Magari non avremo tutte le risposte, ma quantomeno sapremo che domande fare.

This Giant Beast That Is the Global Economy

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