The Operative, la recensione della spy-story con Diane Kruger

The Operative, la recensione della spy-story con Diane Kruger

Di Andrea D'Addio

Il Mossad, i suoi processi decisionali, le strategie per controllare i nemici internazionali, le modalità di arruolamento di agenti stranieri e come licenziarli una volta che non servono più. È questa la cornice dentro cui si muove The Operative, film ispirato al libro The English Teacher dell’ex agente Yiftach Reicher Atir e presentato alla Berlinale 2019. Al suo interno vi è invece un dramma personale. La storia di una donna tedesca con un eccezionale talento per le lingue che accetta di essere ingaggiata dall’intelligence israeliana e andare a Teheran sotto le false spoglie di insegnante d’inglese per monitorare gli eventuali avanzamenti del processo di nuclearizzazione dell’Iran. Dovrebbe essere una “semplice” osservatrice, ma finisce con l’innamorarsi proprio di una delle persone che dovrebbe tenere d’occhio. Cosa fare? Rinunciare a tutto in nome dell’amore o continuare il lavoro? E poi, è davvero possibile lasciare il Mossad?

Il trailer

Al suo esordio con un lungometraggio, il regista israeliano Yuval Adler costruisce il proprio film su Diane Kruger, sul suo essere una straordinaria poliglotta e sulla sua capacità di rappresentare al meglio una donna pratica e indipendente. Difficile immaginare il film senza di lei o in una versione doppiata. Il suo passare indifferentemente da una lingua all’altra (inglese, tedesco e francese) è forse l’aspetto più interessante di una pellicola che ci mette troppo tempo, oltre un’ora, per decollare. Sono troppi i dialoghi e spesso fini a sé stessi, soprattutto quelli con uno “sprecato” Martin Freeman.  A lungo la storia rimane ferma senza alcun sviluppo né narrativo né di crescita dei personaggi. È un peccato visto che quando la sceneggiatura lo richiede, come nella scene del nascondiglio in auto o del finale, Adler dimostra di sapere come fare tenere lo spettatore inchiodato alla poltrona. Il risultato è un film con alcuni lati positivi, ma un po’ noioso. Incapace sia di raccontare ciò che si nasconde dietro la geopolitica internazionale che di realizzare un ritratto a 360° di chi sceglie di lavorare per i servizi segreti.

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