Amburgo, anni ‘70. Fritz Honka è uno degli abituali visitatori del Der goldene Handschuh, tetro bar della celebre zona St.Pauli. Lavora come manovale in una delle fabbriche cittadine, è alcolizzato e le uniche donne che riesce ad attrarre nel suo appartamento sono prostitute o disperate che sarebbero pronte a tutte solo per avere una bottiglia da scolare fino al primo mattino. Peccato che una volta a casa Fritz diventi facilmente irascibile e picchi fino, in alcuni casi, anche ad uccidere. È proprio mentre cerca di portare giù per le scale il cadavere di una delle sue vittime, la prima, che inizia The Golden Glove, il film che Fatih Akin ha voluto dedicare ad uno dei più celebri serial killer tedeschi, già al centro di un omonimo e premiato libro del 2016. Il suo è un vero e proprio viaggio negli inferi della psiche umana che non risparmia nessun particolare, neanche il più raccapricciante dettaglio agli occhi dello spettatore.
Dopo l’acclamato Oltre la notte, ispirato alla storia della cellula terroristica neonazista che sconvolse la Germania nei primi anni 2000, Fatih Akin si riaffida ad un fatto di cronaca nera per costruire un mondo di dolore e solitudine. E lo presenta alla Berlinale 2019. Se da una parte The Golden Glove è condannabile per la gratuità con cui insiste su aspetti totalmente trascurabili di ogni uccisione, quasi che non sia convinta della forza del fuori campo o di un taglio di montaggio fatto bene, il regista tedesco di origini turche ha il merito di riuscire a fare del suo protagonista l’emblema di una tipologia di mostri vittime tutti dello stesso male: l’abuso di alcol. Lo fa cercando una chiave grottesca che non gli riesce fino in fondo, mancando di quell’ironia che sarebbe necessaria a volte anche solo per smorzare la tensione ed evitare il disgusto, ma capace almeno di non ricorrere a facili morali. L’essere umano è quello che è (e quello che affolla, o almeno affollava, le kneipe tedesche dell’epoca sembra davvero all’ultimo scalino della disperazione), ma non ci si può fare nulla, se non assistere inermi alla sua autodistruzione.
All’interno di un film perfetto nella ricostruzione scenica come si può apprezzare durante i titoli di coda, The Golden Glove (traduzione in inglese del nome della kneipe di Amburgo protagonista del film) tocca l’eccellenza nell’interpretazione di Jonas Dassler e in generale in tutta la scelta del cast, dalle varie donne che, purtroppo, si avvicendano nella storia a quel fratello a cui basta una scena per raccontare un intero mondo di sofferenza e solitudine.
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