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THE DOC(MANHATTAN) IS IN – Il mio amico Arnold

Pubblicato il 06 febbraio 2019 di DocManhattan

Diff’rent Strokes, come l’inizio di una celebre frase pronunciata nel ’66 da Muhammad Ali (“Different strokes for different folks”, gusti diversi per persone diverse). Nel ’78 la NBC vuole lanciare una nuova serie per Conrad Bain, visto che Maude era stata stata cancellata in fretta e furia dopo una disastrosa sesta stagione. E vuole affiancargli un bambino di dieci anni chiamato Gary Coleman, apparso già in vari spot e in alcune serie TV, come I Jefferson e nel pilota di una nuova versione mai andata in porto di Simpatiche canaglie. L’idea originale, però, è differente.

I Drummond avrebbero dovuto abitare ad Hastings-on-Hudson, nella contea di Westchester, e non in un attico di Manhattan. La governante avrebbe dovuto essere giovane e sexy. Non avrebbe dovuto esserci Willis. E soprattutto, la serie avrebbe dovuto intitolarsi 45 Minutes from Harlem. Cambiata l’ambientazione, ci si accorge che tra Harlem e il 697 di Park Avenue ci sono al massimo 15 minuti con i mezzi. Andava cambiato anche il titolo.

Il 3 novembre del 1978 va in onda così negli USA la prima delle 189 puntate di Diff’rent StrokesLa storia di due orfani di Harlem, Arnold Jackson e suo fratello Willis, che vanno a vivere da un ricco vedovo di Park Avenue, insieme a sua figlia Kimberly.

In Italia la serie arriva due anni dopo. Dapprima sul circuito delle reti locali, con il titolo da lotta di classe di Harlem contro Manhattan e una mitologica sigla di Nico Fidenco che parlava di scatole del lucido piene di confetti. Con il passaggio a Canale 5, nell’82, il titolo diventa Il mio amico Arnold e poi semplicemente Arnold, e come sigla viene utilizzata quella originale, che parlava appunto di quei Different Strokes, dei punti di vista differenti.

Muhammad Ali, per chiudere il cerchio, sarebbe stato uno dei tanti ospiti speciali della serie, con una comparsata nella seconda stagione.

Aggrappata ai suoi tormentoni, a cominciare da quel “What’chu talkin’ ’bout, Willis?”, la sitcom si piazza nel giro di un paio di stagioni tra le venti più seguite d’America. Mentre si avvicendano le governanti di casa Drummond – Edna Garrett (Charlotte Rae), Adelaide Brubaker (Nedra Volz) e infine Pearl Gallagher (Mary Jo Catlett) – Arnold diventa famosa in patria non solo perché il suo piccolo protagonista non cresce, costretto a vita a una bassa statura e a quel volto da bambino per una malattia congenita ai reni, ma per i suoi “very special episodes”.

È un termine con cui, a partire da quegli anni, la TV USA etichetta gli episodi in cui una serie affronta dei temi socialmente rilevanti e spesso delicati. E così tra le tante guest star famose di Arnold ci finisce anche una first lady, Nancy Reagan lì per portare avanti la sua campagna contro la droga, Just Say No.

Si parla anche di bulimia, di razzismo, di alcolismo tra gli amici di Willis e Arnold, e di pedofilia. In due diverse puntate, Arnold si trova alle prese con pedofili, molestato da un venditore di biciclette o rapito insieme a Kimberly da un maniaco che ha offerto loro un passaggio in auto, e che cerca di stuprare la ragazza.

In una TV semplice come quella di allora, erano argomenti evidentemente molto forti. E ok, le finalità educative di quelle storie si affiancavano all’esigenza paracula di venderle meglio agli inserzionisti pubblicitari, appunto come puntate molto speciali. Ma una volta che vedi Conrad Bain uscire dal personaggio e spiegare ai giovani spettatori della sitcom, alla fine di quell’episodio, cosa fare in una situazione simile, non te lo scordi più. Il signor Drummond come He-Man alla fine di una puntata dei Masters.

La fidanzata di Willis, Charlene, interpretata da una giovanissima Janet Jackson.

Nel ’79, il personaggio di Edna Garrett ottiene un suo spin-off, la sitcom L’albero delle mele (The Facts of Life), mettendo in moto il primo di una serie di scossoni al cast originale. Il principale arriverà nel corso della sesta stagione, quando Dana Plato verrà allontanata dalla serie perché a) in attesa, b) già alle prese con le droghe. Ma di quello parliamo dopo.

Nel corso della settima stagione arriva nella famiglia Drummond il piccolo Sam: è un escamotage per dare anche ad Arnold una spalla più piccola e continuare a rivolgersi ai bambini, visto che Willis è ormai troppo grande. E dato che ci sono sempre le puntate molto speciali da mandare in onda, Sam l’anno dopo viene rapito da un padre folle che non riesce ad elaborare la morte del figlio e sta cercando un suo sostituto. Già.

A quel punto, in realtà, la serie dovrebbe essere già chiusa, perché la NBC, delusa dagli ascolti, ha deciso di cancellarla. È subentrata però la ABC, che ha messo in cantiere una nuova stagione, l’ottava. Ma dura solo 19 episodi, prima che gli ascolti terribili facciano calare definitivamente il sipario. Maggie McKinney Drummond, in quest’ultimo lotto di puntate, non è più Dixie Carter ma Mary Ann Mobley, che aveva già interpretato un altro personaggio di cui si invaghiva il signor Drummond, in una puntata della seconda stagione.

La corsa di Arnold termina dopo 189 episodi, e solo uno dei membri del cast è presente in tutti. Proprio Phillip Drummond. Arnold, infatti, non è apparso in ben cinque puntate.

Si è parlato tanto, negli anni, della maledizione che ha colpito i giovani protagonisti di questa serie. Ma il fatto è che le maledizioni non esistono, ci sono solo le solite storie brutte di vite bruciate dal successo, lungo un viale del tramonto che arriva troppo presto se da ex giovane attore diventi una meteora. Di queste storie, la più tragica è sicuramente quella di Dana Plato.

Spedita a Parigi dalla trama della sitcom, per toglierla di torno quando era incinta e circolavano già troppe voci sulle sue dipendenze. Sposata in quegli anni con un musicista, poi allontanatasi da lui e da suo figlio. E finita a lavorare a Las Vegas come cassiera di una lavanderia, dopo un servizio su Playboy e un videogioco sexy trash (Night Trap).

Non ha più niente, Dana, se non alcol e droga, da cui non riesce a staccarsi. Problemi con la legge, un film softcore nel ’98 e un suicidio per overdose con cui se ne va, l’anno dopo, a 34 anni. Undici anni dopo, e due giorni prima dell’anniversario della morte della madre, anche suo figlio Tyler si toglierà la vita, con un colpo di fucile.

Gary Coleman affiancò presto ai gravi problemi di salute quelli familiari. Fece causa ai genitori, per la gestione del denaro guadagnato come attore (anche 100mila dollari a puntata, all’apice del successo di Arnold), e si ritrovò anche lui senza un centesimo. Sul set della serie, ricorderà Todd Bridges nella sua autobiografia, Coleman lavorava fino a tardi, pur essendo un ragazzino malato e infelice.

Poi ha fatto il buttafuori, accumulato la sua dose di grane con la legge e recitato a vita il suo tormentone sul che cavolo stai dicendo Willis, un po’ ovunque. Se n’è andato a 42 anni, per un’emorragia cranica provocata da una caduta, dopo essersi sentito male. Era davvero un grande appassionato di trenini, proprio come Arnold.

Todd Bridges, Willis, è ancora tra noi, ma solo dopo aver attraversato un inferno fatto di cocaina e gite dietro le sbarre per brutte storie connesse alla dipendenza, come l’accusa di tentato omicidio di uno spacciatore in una crack house di Los Angeles. Finalmente disintossicatosi, ha ricominciato a lavorare (era il Monk di Tutti odiano Chris), ha salvato nel ’98 la vita a una donna che stava affogando in un lago, ha girato gli USA spiegando ai ragazzi delle scuole perché drogarsi è uno schifo e ti distrugge, letteralmente, la vita.

Nessuno, fortunatamente, gli rispondeva mai “Che cavolo stai dicendo, Willis?”.

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