Cosa ci è piaciuto, e cosa no, di La paranza dei bambini, il nuovo film tratto dal libro di Saviano

Cosa ci è piaciuto, e cosa no, di La paranza dei bambini, il nuovo film tratto dal libro di Saviano

Di Andrea D'Addio

Notte, la galleria Umberto a Napoli è illuminata, ma vuota se non fosse per un gruppo di adolescenti che si avvicina all’altissimo albero di Natale postovi al centro.  Iniziano a spingerlo, vogliono farlo cadere e ci riescono. È il momento di portarlo via, ma improvvisamente ecco un altro gruppo di ragazzi pronta a venire alle mani per accaparrarsi  “il trofeo”…

È questo l’incipit di La paranza dei bambini, il nuovo film di Claudio Giovannesi tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano (che ha collaborato alla sceneggiatura). Vi si racconta di un gruppo di più o meno quindicenni che comincia i primi lavoretti per la Camorra. Dallo spaccio della marijuana fino ai furti, un processo di iniziazione che, differentemente da quanto si potrebbe credere dall’esterno (ed è qui l’aspetto più interessante della sceneggiatura), avviene in maniera spontanea. Sono i ragazzi a cercare i boss della zona e non viceversa. “Qui non c’è lavoro e noi vogliamo faticare” spiega Nicola a quello che diventerà il suo capo. Siamo nel rione Sanità, centro storico quindi, non tutte le famiglie hanno contatti con la camorra, eppure è lì che molti giovani vanno a finire. In un contesto in cui la parola scuola è legata solo al passato, l’unico futuro possibile è quello fatto di capi firmati e tavoli prenotati al locale. Per percorrerla, meglio se rapidamente, c’è una sola strada possibile.

La paranza dei bambini, il trailer

Giovannesi, che già aveva dimostrato di sapere raccontare senza paternalismo o accondiscendenza  l’adolescenza in tutti i suoi precedenti lavori (La casa sulle nuvole, Alì ha gli occhi azzurri e Fiore) conferma una regia tanto essenziale quanto trainata da volti e sguardi. Lavora per sottrazione, evita di mostrare il non necessario, ma esalta le prove attoriali, in questo caso una decina di ragazzi non professionisti che potrebbero rappresentare sia i figli dell’alta borghesia partenopea che quelli delle periferie. Si nota (e apprezza) il lavoro di preparazione fatto con loro da Eleonora Danco così come la fotografia di Daniele Ciprì che esalta le contraddizioni di una Napoli bella anche nei suoi angoli più difficili. Ciò che manca, purtroppo, è un immaginario generale diverso da quello già visto dalla serie Gomorra di cui lo stesso Giovannesi è stato regista di alcuni episodi della seconda stagione. Il risultato è apprezzabile, eppure sa un po’ di déjà-vu. Presentato alla Berlinale 2019, il film forse piacerà più ad un pubblico straniero potenzialmente più lontano da quel continuo parlare e vedere la camorra che a noi italiani che ormai, a poco a poco, potremmo avere la sensazione di aver già visto tutto, o quasi, sull’argomento.

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