“Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari” recita un famoso principio drammaturgico di Čechov. È la base fondante di qualunque intreccio narrativo, certo, ma vale in particolar modo nel racconto giallo, i cui misteri e colpi di scena necessitano sempre di un’adeguata preparazione: come l’assassino lascia inevitabilmente delle tracce dietro di sé, anche l’autore semina indizi che il pubblico più smaliziato sarà in grado di cogliere, aspettandosi effettivamente che, prima o poi, quella pistola spari per davvero. Un piccolo favore di Paul Feig funziona proprio in questo modo, è l’abc del genere noir; ma è anche una black comedy, quindi non bisogna mai dare niente per scontato: la pistola, alla fine, potrebbe sparare a salve.
Al di là degli elementi satirici che possono attirare un regista di commedie, l’interesse di Feig per il romanzo di Darcey Bell nasce dalla sua predilezione per le trame femminili, dove i contrasti o la solidarietà tra donne alimentano la narrazione. Non a caso, il centro gravitazionale di Un piccolo favore coincide con Stephanie (Anna Kendrick) ed Emily (Blake Lively), due donne molto diverse che vivono in una tranquilla cittadina suburbana. Stephanie è una madre single, dolcissima e solare, che fa la vlogger e campa grazie all’assicurazione sulla vita del marito, mentre Emily lavora nell’alta moda ed è sposata con un ex scrittore britannico, da cui ha avuto un bambino. I figli delle due donne vanno a scuola insieme, e questo le porta a diventare amiche, nonostante le loro enormi differenze: Emily è infatti una persona sbrigativa, caustica e piena di self confidence, tutto il contrario rispetto a Stephanie, madre e casalinga modello che trova sempre il tempo anche per le attività extra-domestiche. La loro amicizia però non ne risulta ostacolata, anzi, diventa sempre più confidenziale… almeno finché Emily non chiede a Stephanie di tenere suo figlio dopo la scuola, scomparendo misteriosamente dopo quell’ultima telefonata. Ciò che ne consegue è un’intricata matassa di segreti che l’indomita Stephanie deve sciogliere da sola, seguendo il suo intuito di supermamma indipendente.
Lo schematismo delle due caratterizzazioni non è un limite di scrittura, ma serve a evidenziare l’inadeguatezza della società contemporanea di fronte alle molteplici espressioni dell’identità femminile, soprattutto a livello di immaginario collettivo e ritratto culturale. Non se ne riconoscono mai le sfumature, ma solo i poli opposti: da una parte la madre angelicata e servizievole (Stephanie), dall’altra la lavoratrice fredda e disumanizzata (Emily). Ovviamente è solo apparenza, poiché la sceneggiatura di Jessica Sharzer ci ricorda che la realtà è più complessa di così, e infatti sia Emily sia Stephanie rivelano alcuni lati nascosti che ammorbidiscono i rispettivi cliché; eppure, Un piccolo favore dà il meglio di sé proprio nella collisione tra due mondi inconciliabili, dove entrambe le donne ricavano il meglio l’una dall’altra. È significativo, ad esempio, che la remissiva Stephanie assorba da Emily una delle lezioni basilari del fourth-wave feminism e impari a non scusarsi continuamente per ogni cosa, anche quando non ce n’è bisogno. Nei conflitti caratteriali batte il cuore satirico del film, tutto giocato sull’invidia reciproca e sulla disparità esperienziale, ma anche sull’ammirazione per le qualità dell’altra, per i modi diversi in cui ognuna esprime la propria femminilità. Il copione inanella dialoghi sagaci e situazioni divertenti che si nutrono del rapporto fra queste due donne complementari, puntando sulla satira sociale della media borghesia, mentre un coro di genitori osserva da lontano e vomita malignità su entrambe le protagoniste.
Purtroppo, però, con la scomparsa di Emily cambia tutto: la dicotomia tra le due madri viene a mancare, e il film perde brillantezza, perché su quell’antagonismo fondava tutta la sua arguzia. La trama noir è inizialmente troppo prevedibile, poi diventa confusa e affrettata, soprattutto nell’epilogo, quando la sceneggiatura appare lacunosa e sembra ignorare alcuni passaggi fondamentali, con lo scopo precipuo di spiazzare lo spettatore. Ci riesce solo in parte: l’intreccio, per quanto un po’ contorto, si risolve nel modo più elementare, rievocando letteralmente la celebre massima cechoviana.
Resta comunque un tentativo godibile nell’ambito della commedia nera (genere poco praticato a Hollywood), che si giova di una prima parte ben riuscita e di un casting impeccabile, dove le figure opposte di Anna Kendrick e Blake Lively vincono a pari merito per astuzia, ironia e fascino.
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