THE DOC(MANHATTAN) IS IN – SPAZIO 1999

THE DOC(MANHATTAN) IS IN – SPAZIO 1999

Di DocManhattan

È il 1972. I coniugi Gerry e Sylvia Anderson hanno da poco completato la serie UFO, la prima realizzata interamente con attori in carne e ossa dopo le marionette di Stingray, Thunderbirds e gli altri show in “Supermarionation” ai quali hanno lavorato. C’è nell’aria la volontà di portare avanti quella storia della guerra tra gli alieni e l’organizzazione militare SHADO, combattuta con parrucche colorate e tutine attillate da disco queen. La ITC Entertainment propone infatti agli Anderson di realizzare una seconda serie, ambientata però principalmente nella base lunare di SHADO. Succede però che gli ultimi episodi di UFO, trasmessi anni dopo i primi su un network di reti private, vanno malissimo. I finanziatori si tirano indietro, sembra non se ne faccia più nulla. Ma Gerry Anderson non molla e propone un nuovo show che riprenda quanto già sviluppato per la seconda serie di UFO. Il dirigente della ITC che lo ascolta non vuole che la serie sia ambientata sulla Terra. “Non si preoccupi, nella prima puntata la faremo esplodere!”, replica Anderson con un pelo di entusiasmo di troppo. L’altro gli fa notare che magari quello sarebbe un po’ troppo, e ci si accorda allora per fare casini solo sulla Luna. Spazio 1999 muoveva i suoi primi passi nel cosmo.

Spazio 1999 è la storia dell’equipaggio non già di una nave spaziale, come in Star Trek, ma di una stazione lunare che si trova a zonzo nell’universo sulla Luna stessa, uscita dalla sua orbita per il botto di un deposito di scorie nucleari e spedita lontano da un buco nero e altre distorsioni spaziotemporali. L’ispirazione è tanto Star Trek quanto, dichiaratamente a partire dal titolo, il 2001: Odissea nello spazio di Kubrick. Per interpretare le due figure chiave della base lunare Alpha, gli Anderson chiamano un’altra coppia: Martin Landau e Barbara Bain, all’epoca sposati (si erano conosciuti sul set della serie Missione Impossibile), saranno il magnetico comandante John Robert Koenig e la dottoressa Helena Russell (Helen in Italia). Per mettere in piedi il telefilm, arrivano anche i soldi, come co-produttore, dell’emittente di stato di un altro paese europeo. La RAI.

L’icona della serie, l’astronave Aquila (Eagle Transporter) è frutto del responsabile degli effetti speciali Brian Johnson, che si è fatto le ossa sui modellini dei Thunderbirds per gli Anderson e ha realizzato l’astronave di 2001: Odissea nello spazio. Di lì a poco porterà a casa due Oscar per Alien e L’impero colpisce ancora, a compimento della grossa influenza esercitata da Spazio 1999 sulla saga di George Lucas in quanto a effetti speciali. Sembra andare tutto a gonfie vele, ma i casini sono appena iniziati.

Lo sceneggiatore principale, George Bellak, uno statunitense di grande esperienza che aveva lavorato a numerosi polizieschi (come Cannon, giusto per fare un titolo), salito a bordo su insistenza dei finanziatori della ITC per vendere meglio la serie negli USA, se ne va sbattendo la porta, per contrasti creativi con Gerry Anderson. Le riprese vanno per le lunghe per tante ragioni diverse, che includono gli estenuanti scambi con i dirigenti americani, che impongono continuamente modifiche alle storie, inducendo ripetute crisi di nervi tra gli sceneggiatori rimasti. Gli inglesi, in tutto questo, hanno dimenticato una promessa fatta ai partner della RAI. Quando si ricordano quella cosa dell’inserire anche degli attori italiani nello show, infilano in fretta e furia un po’ di nostri connazionali negli ultimi quattro episodi prodotti. Il comandante Koenig e gli altri incontrano così Orso Maria Guerrini, Giancarlo Prete, Carla Romanelli e Gianni Garko. Alla regia di molti episodi c’è Charles Chrichton: quindici anni dopo riceverà una nomination all’Oscar per il suo Un pesce di nome Wanda.

La serie debutta in Inghilterra, sempre su un network di reti locali, nel ’75. Da noi arriva nel gennaio del ’76 su RAI 2 (all’epoca Secondo Programma Rai), preceduta però mesi prima da un film di montaggio per il cinema che combinava tre episodi, con tanto di musiche di Ennio Morricone. In America, il mercato di riferimento per chi ci aveva messo i soldi, le cose non vanno però benissimo. In tanti criticano la verosimiglianza dello show, a partire dalla sua premessa (la Luna finita fuori orbita dava noia a Isaac Asimov), cosa che lascia gli Anderson piuttosto perplessi: proprio non capiscono perché nella fantascienza USA possa succedere di tutto e a loro si facciano le pulci solo perché britannici. Gerry e Sylvia hanno del resto altro a cui pensare: divorziano, ponendo fine così anche a un sodalizio professionale che durava dal 1960. Rimasto unico produttore della serie, Gerry deve far piacere questa dannata serie agli americani se vuole che la ITC (la RAI non è più della partita) continui a finanziarlo per una seconda stagione. Si rivolge così a Fred Freiberger: lo showrunner della seconda serie di Spazio 1999 sarà l’uomo che ha prodotto l’ultima stagione di Star Trek, tra il ’68 e il ’69. Seems legit. O no?

È proprio Freiberger a salvare la serie dalla cancellazione, convincendo gli uffici newyorkesi della ITC, contrariati dai bassi ascolti nelle case degli yankee, a realizzare una seconda serie in cui l’introduzione di un personaggio alieno nella Base Alpha darà uno scossone allo status quo. In buona sostanza, è la mutaforma Maya (Catherine Schell), profuga alla Superman di un pianeta distrutto, a resuscitare Spazio 1999, con le sue sopracciglia a pallette di plastilina e le basette che, incredibilmente, non riuscivano a sminuirne il fascino. Maya diventava anche la mente della Base, supplendo all’assenza del professor Bergman (Barry Morse, andatosene dopo non aver trovato un accordo sul suo stipendio). La curiosità è che Catherine Schell era già apparsa nella prima stagione, in un altro ruolo: era la schiava del Grande Guardiano nell’episodio Il pianeta incantato.

Viene aggiunto anche dal nulla un altro personaggio, mai visto in giro per la base nella prima stagione e ora vicecomandante, perché nella Base Alpha non credevano nella meritocrazia: Tony Verdeschi (Tony Anholt), love interest di Maya. E per scaldare le cose, si introducono minigonne e stivali per le donne, e la tensione romantica tra Koenig e la Russell sfocia in vera passione. Una botta di soap agli americani piacerà, si dice Freiberger. Si cambiano anche le musiche e si passa a un registro narrativo più frizzante e luminoso. Evapora quel tocco british che rendeva speciale la prima stagione e gli episodi – girati due alla volta, da due team di produzione, per tagliare i costi – finiscono nei prati dell’assurdo. Al posto delle riflessioni filosofiche della prima stagione, ci sono l’azione e le scampagnate nella Scozia del 1300 (Il ritorno), o un tizio che è stato Mago Merlino e Nostradamus (Magus), tra una trasformazione e l’altra di Maya: ape, leone, topo, roccia. E arance, bottiglie, maniglie, porte, cani, mondi. Landau, che si è speso tanto per il successo di Spazio 1999, promuovendola soprattutto negli USA, ne è disgustato.

Ma piacevano tutte queste novità ai benedetti spettatori d’Oltreoceano? Piaceva il personaggio di Maya, tanto che si pensa di incentrare su di lei la terza stagione, o di dedicarle uno spin-off. Ma non se ne fa niente e la serie rimane orfana di un finale. Per sapere cosa ne sia stato di Koenig e gli altri, tocca aspettare… beh, il vero 1999.

Message From Moonbase Alpha è un mini-episodio prodotto dai fan nell’agosto del ’99, scritto da Johnny Byrne, sceneggiatore di molti episodi di Spazio 1999. Zienia Merton, nuovamente nei panni del tecnico informatico Sandra Benes (nel senso che ha indossato la stessa uniforme della stagione 2), spiega con il commosso monologo di poco meno di sette minuti che trovate qui sopra, un messaggio alla Terra, di essere il solo membro dell’equipaggio rimasto nella base Alpha, mentre gli altri – a causa del malfunzionamento dei sistemi vitali della base – si sono trasferiti su un pianeta abitabile, Terra Alpha. Il segnale che lancia è, per chiudere il cerchio, quello ricevuto da Koenig nel primo episodio della serie. Il corto ha il beneplacito dei detentori dei diritti e viene proiettato per la prima volta a una convention di fan tenutasi a Los Angeles… il 13 settembre 1999: il giorno in cui avviene il botto lunare della prima puntata, ovvio.

Martin Landau ci ha lasciato un anno fa; con la Bain era finita nel ’93. L’ungherese Catherine Schell ha smesso di recitare proprio nel ’93, e ha gestito in seguito a lungo un bed and breakfast in Francia. Il suo ultimo ruolo? La contessa in un film dei Vanzina, Piccolo grande amore, con un giovanissimo Raoul Bova. Ma tu pensa.

 

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