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StreamWeek: il meglio di un anno di streaming

Pubblicato il 31 dicembre 2018 di Michele Monteleone

È il primo anno che tengo stabilmente una rubrica e, ad eccezione del lunedì in cui ero a Lucca e di quello di Natale, ho provato a guidarvi ogni settimana nell’intricato mondo delle piattaforme di streaming con i miei consigli su StreamWeek. Oggi però è la fine dell’anno e urge guardarsi indietro e andare a scoprire il meglio del meglio tra le proposte originali o in esclusiva delle varie piattaforme.

Nel mio personale podio per l’anno appena passato, mi rendo conto di aver elencato solo serie e aver invece escluso a priori tutti i film originali creati dalle varie piattaforme di streaming, ma mi perdonerete se li trovo quasi tutti di una sciattezza quasi criminosa (anche considerata la sontuosità delle serie prodotte dagli stessi canali). L’eccezione meritevole a questa categoria è sicuramente il bellissimo Roma di Alfonso Cuarón che ho però trovato una festa per la critica e lo spettatore più alfabetizzato, ma una discreta noia per tutto il resto del mondo. È stato un anno ricco che ha riservato parecchie sorprese, come l’angosciante horror di Amazon Prime Video, The Terror e una splendida terza stagione di Daredevil che mette in campo uno dei villain più interessanti del panorama supereroistico. Non vanno secondo me dimenticati l’ottimo debutto della fantascientifica serie per famiglie Lost in Space e di Jack Ryan, la serie di spionaggio tratta dai romanzi di Tom Clancy. La seconda stagione di Glow si conferma piena zeppa di ottime idee narrative e una scrittura incredibilmente limpida e, come ciliegina sulla torta, mette in scena una divertentissima puntata finale che è un inno alla stramba narrativa del wrestling. È stato anche l’anno del ritorno alla televisione di Matthew Weiner con il suo antologico The Romanoffs che mi ha creato non pochi problemi quando l’ho dovuto recensire, che racchiude in sé almeno un paio di splendidi episodi che gli varrebbero certamente un posto in classifica se non fosse che è stato un anno davvero entusiasmante per la produzione seriale. Ho trovato parecchio piacevole, anche se frustrato da un ritmo arrancante e delle interpretazioni “troppo italiane”, Il Miracolo produzione Sky Italia scritta da Niccolò Ammaniti e anche L’amica Geniale che è un po’ claustrofobico nella messa in scena, ma interessante nella narrativa. Due ultimi commenti prima di cominciare con il nostro podio definitivo: il primo riguarda le due serie più belle che NON state guardando, i premi vanno diretti a Lodge 49 e Patriot, due show che effettivamente non sono adatti a tutti i palati, ma che, se gli date un po’ di fiducia, vi sapranno sorprendere ed emozionare. Soprattutto nel caso della prima, preparatevi a piangere come delle madri del sud durante il prediciottesimo dell’unica figlia. Infine, arriva con gli ultimi giorni dell’anno, la puntata speciale di Black Mirror: Bandersnatch e lo so che state facendo a gara a far vedere quanto siete fighi (leggi bambini sfigati che non facevano giocare a calcetto) perché avete tutti giocato ai librigame e quindi non siete impressionati dalla narrazione a bivi, ma la verità è che siete in pochi. Continuate a dire la vostra senza tenere conto del fatto che siete una nicchia in una nicchia, nella maggior parte dei casi siete vecchi (o anziani trentenni come me). Bandersnatch non impressiona noi, ma quel “noi” è una fetta davvero minuscola del pubblico a cui si rivolge. Lo fa invece con tutti gli utenti più vecchi dei nerd che pubblicano orgogliosi le foto di Lupo Solitario sui social, che si sono divertiti e hanno visto un’applicazione relativamente inedita del loro telecomando del televisore, lo fa anche con tutti quelli che neanche erano nati quando i librigame vivevano il loro boom e che rivedranno in piccolo quello che gli regalano i titoli Telltale e della Quantic Dream. Quindi mi sento di dire anche io che sono felice di aver visto un librogame sulla mia televisione, non era granché, ma è stato un sacco divertente e apre la strada ad applicazioni migliori e più profonde.

Premio speciale miglior serie cancellata dell’anno – American Vandal (Netflix)

La prima stagione di American Vandal è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Penso che chiunque l’abbia vista come me, senza sapere nulla, senza aver letto nulla sulla produzione Netflix, senza aver visto trailer o anteprime, si sia trovato di fronte all’oggetto più strano apparso in tv. Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria invasione di documentari crime, ricostruzioni fedeli di efferati omicidi e fatti di cronaca che, a volte, si sono anche rivelati essere importanti ai fini processuali mettendo in dubbio sentenze già scritte. American Vandal parte proprio come una parodia di quel genere, lo fa con classe, essendo incredibilmente divertente e, nello stesso momento, eccezionalmente accurato. La prima stagione segue una troupe di studenti che cerca di scoprire la verità dietro un atto vandalico in cui sono stati disegnati dei piselli sulle macchine del parcheggio difronte a scuola. Lo spunto è divertente, la parte dedicata alla commedia davvero ben scritta e si finisce presto per entrare nel vortice investigativo che viene realizzato con altrettanta cura. Il mistero buffo con cui si da avvio alla storia inizia, agli occhi dello spettatore, a diventare un vero e proprio enigma, si brama la soluzione e ci si dimentica che si sta parlando di cazzi disegnati. Lo svelamento finale poi si porta dietro un retrogusto amaro e con un colpo di coda i creatori della serie riescono a infilare anche una pesante critica sociale nella loro storia iniziata, ricordiamolo, con cazzetti disegnati. La stagione, tutta, era una serie di colpi di scena e un’effettiva sorpresa in un palinsesto che, dietro a un’apparente varietà, nasconde una triste omologazione, ripetere l’impresa sembrava impossibile e invece… e invece la seconda stagione di American Vandal si rivela, per certi versi, anche superiore alla prima. La storia è quella di un “vandalo seriale” che terrorizza il suo liceo con scherzi a base di cacca. Dan Perrault e Tony Yacenda sono capaci, su queste premesse, di dare la migliore e più veritiera descrizione di questa generazione, del loro rapporto con i social e di come viene vista dal resto del mondo. È un vero peccato che la serie si stata cancellata, mi chiedo anche se non sia possibile un’acquisizione da parte di un concorrente (magari proprio Amazon).

3 – Homecoming (Prime Video)

La serie, tratta da un podcast di Eli Horowitz e Micah Bloomberg ruota attorno a un centro per l’accoglienza dei reduci americani della guerra in Iraq. Il centro Homecoming però sembra avere un’agenda che va ben oltre il semplice reinserimento nel mondo del lavoro dei soldati accolti nella struttura. Tra le pareti di vetro e superfici spoglie della struttura, si annidano molte più ombre di quante sarebbe logico immaginare. La storia è raccontata seguendo due linee temporali che si incrociano in un gioco di parallelismi che trova il suo splendido contrappunto nelle scelte registiche di Sam Esmail il creatore dell’ormai cult Mr. Robot e di film più di nicchia come Comet (guardatevelo, è un vero gioiellino). A stupire, oltre alla meravigliosa prova attoriale di Julia Roberts, che ci ricorda, se fosse necessario, che le star di Hollywood rifulgono di luce propria, è una cura quasi maniacale delle scelte nella messa in scena. L’estetica di Homecoming fa scuola a sé stante, a cominciare dall’idea abbastanza geniale di girare in 4:3 tutte le parti ambientate nel presente e i 16:9 tutto il resto della storia. Meravigliosi anche i finali di ogni puntata che fanno allontanare i protagonisti dall’azione e lasciano la telecamera a riprendere la scena per tutti i titoli di coda mentre le comparse simulano il proseguire della vita oltre la storia narrata. E ancora la prima puntata in cui la camera esplora il centro Homecoming seguendo la Roberts nel set in cui la camera si muove con la massima libertà scavalcando i muri, riprendendo le stanze dall’alto a volo d’uccello, trasformandolo in una sorta di casa di bambole in cui tutto sembra in vista, ma in cui la stessa trasparenza crea inquietudine nello spettatore. Il punto massimo di questa ricerca estetica e della messa in scena viene raggiunto in uno degli ultimi episodi: il personaggio della Roberts e un burocrate, che sta cercando di scoprire il segreto che si cela dietro alla facciata legale del centro, entrano entrambi nell’edificio ormai adibito ad altri scopi, esplorandone ognuno una delle ali gemelle e speculari. Il gioco delle inquadrature speculari si arricchisce anche dell’alternanza tra presente e passato in un vero e proprio tripudio estetico che incorona Homecoming, nella mia personale classifica, come miglior debutto dell’anno e serie visivamente più interessante.

2- Hill House (Netflix)

Tratto da un romanzo di Shirley Jackson, diretto da Mike Flanagan, Hill House è la serie originale Netflix che ha stupito tutti quest’anno. La storia inizia dove molti racconti dell’orrore finiscono: una famiglia riesce, non senza pagarne il prezzo, a fuggire dalla casa infestata in cui ha vissuto per tutta un’estate. E continua nell’oggi della narrazione, in cui i bambini scappati da Hill House, da grandi devono vedersela con gli strascichi di quella terribile vicenda e la perdita della madre, lasciata indietro a un destino misterioso che l’ha portata alla morte. I fantasmi di Hill House si alleano con quelli annidati nel cuore di ognuno dei protagonisti e stringono la loro presa sui cuori più deboli, sulle menti meno salde. Il risultato sono nove splendidi episodi in cui la tensione continua a salire, si fa sempre più opprimente, esplode disturbando profondamente lo spettatore invischiato, come la famiglia, in una continua caccia alle motivazioni del male, alle radici dell’oscurità che sembra annidarsi e trasudare, dai muri della casa maledetta. Ho detto che gli episodi splendidi sono nove, anche se la serie finisce al decimo, proprio perché per ottenere la vetta di questa nostra classifica, Hill House si sarebbe dovuta chiudere in bellezza e invece non lo fa. Dopo un paio di episodi, nella parte centrale (di cui uno con uno splendido e lunghissimo piano sequenza), la serie si ripiega un po’ su sé stessa e arriva a un finale fin troppo consolatorio (anche in maniera stupida visto che nel frattempo sono morti dei personaggi), ma che soprattutto si impoverisce in maniera incomprensibile dal punto di vista della messa in scena. Tolto questo neo, Hill House è comunque la migliore produzione horror che io abbia mai visto su piccolo schermo, graziata da interpretazioni (sia nel cast degli adulti, che in quello dei bambini) davvero ispirate e una regia di alto livello che guida lo spettatore nell’incubo della casa stregata più famosa al mondo.

1- La Fantastica signora Maisel (Prime Video)

È quasi la migliore serie dell’anno, ma visto che la seconda stagione di Atlanta, il capolavoro di Donald Glover, non è disponibile in streaming, si aggiudica, non senza comunque qualche grido di giubilo, la prima posizione della nostra classifica. La storia di Midge Maisel, stand up comedian negli anni 50, dall’impeccabile gusto nel vestire e una complicata relazione con l’ex marito (che l’ha mollata per la segretaria) è un interessante punto di vista sulla figura della donna nella società, nel lavoro, ma soprattutto in ambito artistico. Però aspettate un attimo, perché lo so che starete storcendo il naso, stufi di beccarvi l’ennesimo pistolotto di raffazzonata propaganda femminista, che ormai pare essere una costante degli ultimi anni di produzione americana, ma in questo caso, vi assicuro che siete salvi. Infatti Amy Sherman-Palladino affronta la questione in maniera complessa e intelligente. Le conquiste di Midge non avvengono semplicemente identificando l’uomo come il male assoluto, le scelte che deve compiere durante la serie sono complesse e spesso comportano profonde rinunce dal lato emotivo per appagare la propria ambizione. Il raggiungimento dei propri obiettivi diventa uno dei temi fondamentali della seconda stagione della serie che prosegue con il grado di eccellenza che aveva caratterizzato la prima, aumentandone la scala, le location, lo sfarzo dei costumi e delle scenografie. Tutto in Maisel sembra gridare al capolavoro e, se non fosse per dei piccolissimi, quasi impercettibili, sfilacciamenti nella trama, lungaggini e scollature tra una linea narrativa e l’altra, vi direi che La Fantastica signora Maisel è una delle mie serie preferite di sempre. Invece lo è solo di quest’anno (non che sia un traguardo da poco).

È stato senza dubbio un anno interessante, ci rivediamo tra una settimana con il primo episodio della rubrica del 2019, nel frattempo vi auguro di ubriacarvi stasera e smaltire i postumi della sbornia affondati sul divano davanti a qualche film o serie tv!

QUI TUTTI I POST DELLA RUBRICA STREAMWEEK
 

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