Bumblebee, o di come ti sbaglio E.T.

Bumblebee, o di come ti sbaglio E.T.

Di Roberto Recchioni

Prima di parlare del film vero e proprio, sgomberiamo un momento il campo dalle questioni più squisitamente nerdiche: come si pone questo Bumblebee rispetto agli altri film della saga? È un sequel, è un prequel, è uno spin-off o un reboot? Dunque, non è un sequel, perché è ambientato negli anni ‘80. Ma non è un nemmeno esattamente un prequel perché se è vero che si chiude collegandosi in qualche maniera al primo film della saga firmato da Michael Bay, ha al suo interno tutta una serie di cose che negano la continuity fin qui raccontata (è cancellata, per esempio, tutta la questione di Bumblbebee che combatte contro i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale). Quindi, si può dire che è un reboot. Però possiamo anche dire con certezza che si tratta di uno spin-off, visto che è un film che prende il personaggio di una serie corale e gli dedica una storia solitaria. Quindi, in sostanza, questo Bumblebee è lo spin-off di un reboot dei Transformers che però non è ancora stato realizzato e che diventerà una cosa concreta solo in caso di esito positivo del film. Altrimenti, si farà finta che non è mai esistito e si darà vita a un nuovo capitolo dei Transformers in continuità con quelli precedenti. Confusi? Non ditelo a me che devo scriverne.
Ma tutta questa roba è, in qualche maniera, rilevante per la fruizione del film? A meno che non siate nerd senza speranza, assolutamente no. In termini puramente filmici questa complicatissima definizione significa solamente due cose: che il film non è ambientato ai giorni nostri ma negli anni ‘80 (che di altre opere nostalgiche e furbette, ambientate in quella decade, se ne sentiva davvero il bisogno…) e che Autobot e Decepticon hanno un aspetto che si rifà a quello della serie animata classica, cosa che ha due enormi vantaggi: il primo è che, finalmente, si capisce cosa succede a schermo e il secondo è che il design originale era decisamente più bello e iconico di quello moderno (cioè, “moderno” fino all’uscita di questo film che trasforma il “vecchio” in “nuovo”).
Per il resto, di che film stiamo parlando?
Di E.T.
O, se volete, di Corto Circuito. O di D.A.R.Y.L. O di Gremlins. O del Gigante di Ferro. O di Uno Sceriffo Extraterrestre… poco extra e molto terrestre.
Di quella storia, canonizzata e resa archetipo da Steven Spielberg e Melissa Mathison, che Hollywood ha girato mille e mille volte, senza sbagliare quasi mai. Un plot perfezionato, solido, sempre efficace. Che però, questa volta, si inceppa un pochettino. Ma non tanto per la storia (che, siamo sinceri, come si fa a sbagliare?), quanto per il faccino di una protagonista (Hailee Steinfeld) che non buca lo schermo come dovrebbe, per l’eccesso di zelo sulle atmosfere di quegli anni (quanti riferimenti visivi e musicali insistiti ci vogliono per passare dalla ricostruzione alla parodia?), per due cattivi principali privi di qualsiasi carisma (ma quelli importanti non si potevano usare perché necessari per la serie principale), per un John Cena malamente sprecato e per uno script che parte davvero molto molto bene (con i primi venti minuti di film che sono tutto quello che un fan dei Transformers ha sempre desiderato), si incarta con il ritmo nella parte centrale e poi si sgonfia del tutto in uno scontro finale di debolezza rara. La cosa peggiore però è l’abuso di quegli espedienti narrativi conosciuti come “backstory” (il passato del personaggio, precedente a quanto mostrato nel film) e “fatal flaw” (l’ostinato attaccamento del personaggio a mantenere un sistema di sopravvivenza che è ormai superato e inutile e che dovrà smantellare attraverso il confronto con uno o più eventi chiave, nello sviluppo della trama).
Non mi è chiaro quando Hollywood si sia convinta che per creare un personaggio credibile e a cui è facile affezionarsi, bisogna per forza ricorrere a questi strumenti. Che storia aveva Elliot di E.T. a parte quella di essere il figlio di una coppia divorziata con un padre assente e una madre lavoratrice? Qual era il suo fatal flaw pregresso? Eppure, mi sembra che il film di cui era protagonista, abbia funzionato, giusto? E ha funzionato perché la storia era raccontata NEL film. Non prima. In Bumblebee la protagonista è, pure lei, una figlia senza padre (morto per un infarto improvviso con conseguenti traumi per la prole) ed è dotata non di uno, non di due, ma di ben tre fatal flaw:

– Ha smesso di fare la tuffatrice a livello agonistico perché l’ultima volta che ha visto il padre era a una gara.

– Ha un conto aperto con gli infarti.

– Deve ricostruire l’automobile del genitore per risolvere il rapporto con lui.

Questi tre punti la nostra eroina li affronterà uno dopo l’altro, rubando spazio e tempo a quello che dovrebbe essere il tema del film (ovvero la costruzione del rapporto tra la protagonista e l’elemento alieno che le è piombato nella vita), rendendo tremendamente ridondanti alcuni passaggi della pellicola e perdendo costantemente di fuoco. Un vero peccato perché sarebbe bastato rifarsi, se non alla perfezione formale dell’extraterrestre di Spielberg, almeno al Gigante di Ferro, per avere il film che Bumblebee sarebbe voluto essere. E che, purtroppo, non è.
Ma di chi è la colpa? Non del regista, che è bravo e costruisce alcune belle sequenze dinamiche, con un sapiente uso di ottimi effetti speciali. E nemmeno degli interpreti, che ci credono tutti e tanto. O della bella fotografia. O della strepitosa (per quanto scontata), colonna sonora. No, la colpa è di quella scrittura standardizzata di Hollywood che sembra aver fatto dei testi di narratologia come quelli di Robert McKee delle bibbie indiscutibili e che li segue passo passo, senza chiedersi se quanto portato in scena sia funzionale o meno.
In conclusione, Bumblebee è un film che vale il prezzo del biglietto per la sua scena iniziale (davvero, davvero, galvanizzante) e per le potenziali ripercussioni che avrà sul resto del franchise.
Per il resto, riguardate Corto Circuito o il già pluricitato Gigante di Ferro, se proprio volete un E.T. con i robot.

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