THE DOC(MANHATTAN) IS IN – Magnum P.I.

THE DOC(MANHATTAN) IS IN – Magnum P.I.

Di DocManhattan

(Comincia a diventare un po’ stucchevole questa cosa dell’iniziare ogni articolo di questa rubrica con un “È il 19xx”. Però funziona, perciò…) È il 1978.

Il produttore Glen A. Larson si trova benone alla ABC, che manda in onda le sue Nel tunnel dei misteri con Nancy Drew e gli Hardy BoysBattlestar Galactica. Sta preparando una nuova serie, quella che diventerà Magnum P.I., che parla di un agente della CIA sotto copertura, e tutto va a gonfie vele. Cioè, no. In realtà per niente. Colpa di quei dannati Mork & Mindy.

La serie con l’alieno in bretelle venuto da Ork, grazie a uno strepitoso Robin Williams, fa il 40% di share, e in ABC si chiedono che diavolo di senso abbia spendere un milione di dollari a puntata per Battlestar Galactica se “puoi fare quei numeri pazzeschi con un solo set e una sola macchina da presa, al costo praticamente di nulla”. È quello che viene ripetuto a Larson in una telefonata notturna durante la quale gli dicono che le sue due serie in corso verranno cancellate e che quella nuova può pure portarla da qualche altra parte, se crede. E buona serata.

Glen A. Larson, fortunatamente, ci crede.

Se ne va alla CBS, Larson, e lì Magnum P.I. inizia a prender corpo. Diventa un veterano del Vietnam anziché un tizio della CIA, perché il co-produttore – un’altra nostra vecchia conoscenza, Donald P. Bellisario – ci tiene. È un tema nuovo, quello dei reduci dal disastro nel sud est asiatico: funziona, dice Bellisario. E funzionerà davvero, imbottendo la TV USA di ex soldati tornati dal ‘Nam. Perché Bellisario era in fissa con l’esercito? Perché era stato nei Marines pure lui, a fine anni 50, prima di far fortuna a Hollywood.

E insomma, la CBS mette così in cantiere per il 1980 Magnum P.I., con il glorioso scopo… di tappare un buco e riciclare un po’ di palme e mobilio.

Dopo 12 stagioni, si concludeva infatti proprio quell’anno la serie poliziesca più longeva dell’etere statunitense, Hawaii Squadra Cinque Zero (no, per quanto può sembrare incredibile, ai tempi non esisteva ancora il dannato Law & Order). Le storie dell’investigatore privato Thomas Sullivan Magnum IV vengono perciò sbattute alle Hawaii per riciclare tutto il riciclabile della serie precedente, compresi gli uffici della CBS in loco. Nei panni e sotto i baffi del protagonista, un trentenne di Detroit, Thomas William Selleck detto Tom, con alle spalle una brillante carriera costellata di ruoli da protagonista in film di serie Z tipo Daughters of Satan e di parti più piccole in pellicole come La battaglia di Midway o Coma profondo di Crichton.

Il carisma del personaggio, l’ambientazione esotica, la Ferrari 308 GTS e gli altri benefit pazzeschi di cui Magnum può usufruire in assenza del proprietario, l’elusivo Robin Masters, fanno decollare lo show, tra belle donne gravemente responsabili del buco nell’ozono per il quantitativo pro capite di lacca adoperato, un discreto mix di azione poliziesca e avventura, e le facce imperturbabili di Jonathan Quayle Higgins III (John Hillerman), ex sergente maggiore austero quanto i suoi due dobermann, Zeus e Apollo. Finito a fare il maggiordomo perché a Bellisario piaceva il Richard Attenborough di Cannoni a Batasi e voleva infilarci un personaggio così.

È lo stesso Selleck, invece, a chiedere un protagonista più rilassato e piacione, e meno James Bond. Uno che si fa la doccia con la pompa per innaffiare quando capita, con la nonchalance di chi schiva proiettili e vive in una megavilla e va in giro in Ferrari, tanto paga Pantalon Robin Masters.

L’identità del padrone di casa, mentre Magnum con la sua Ferrari va a figh conduce le proprie indagini, diventa uno dei tormentoni della serie, destinato a restare insoluto. Era davvero Orson Welles, che aveva dato la voce al personaggio in cinque episodi? Un prestanome ingaggiato da Higgins per sfuggire alle cartelle di Equihawaii? Il pilota T.C., arricchitosi con tutti i soldi che Magnum gli doveva per riparare i vetri dell’elicottero sforacchiati ogni settimana dai proiettili? Intanto il numero di spettatori cresce, e tra l’82 e l’83 Magnum P.I. è il terzo programma più seguito d’America. Selleck incarna l’irsuto sex symbol dell’epoca, quando un torace villoso andava ancora bene in TV, anzi. Le donne lo amano, gli uomini pure, i venditori di camicie hawaiane orrende anche.

Selleck ne è felice. Della popolarità, dell’Emmy, del Golden Globe. Un po’ meno felice lo è di aver dovuto rinunciare al ruolo di protagonista in un film molto promettente, perché aveva già firmato un contratto, doveva iniziare le riprese di Magnum P.I. e niente, sarà per un’altra volta (che non ci sarebbe più stata). Vabbè, dai, era I predatori dell’arca perduta di Spielberg, niente di che, in fondo.

Il tema musicale dello show firmato dai soliti Mike Post e Pete Carpenter, che in realtà non era la sigla iniziale e l’ha rimpiazzata solo dal 12° episodio, si insinua intanto nel cervello di una buona fetta della popolazione planetaria. Non ne uscirà mai più, scatenando associazioni mentali istantanee, nel tempo, con gli anni 80, le Hawaii, le Ferrari, i baffi.

Durano otto anni e 162 episodi, le avventure di Magnum P.I., dell’ex Navy Seal cazziato da un maggiordomo, e si tirano dietro pure l’inevitabile pedaggio che all’epoca tocca alle serie che vanno forte. La tassa dei tie-in per far felici, in ordine, il network, i telespettatori, il network. E il network. Le strade del baffo delle Hawaii incrociano così quelle di Simon & Simon, in una storia in due puntate che si snoda sui due telefilm. E dell’ubiqua, onnipresente e pure un po’ onnipotente Jessica Fletcher, in un altro crossover doppio, andata e ritorno, stavolta con La signora in giallo.

Quella qui sopra è, almeno idealmente, la faccia che ha fatto Magnum quando lo hanno avvisato della cosa. Jessica Fletcher alle Hawaii, gente: minimo salutata al suo arrivo da un raffica di eruzioni vulcaniche. Minimo.

 

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