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Qualcuno salvi il Natale – La recensione del film Netflix con Kurt Russell

Pubblicato il 21 novembre 2018 di Lorenzo Pedrazzi

Diciamolo chiaramente, c’è qualcosa di bizzarro nel vedere Kurt Russell che interpreta Babbo Natale. Se siete cresciuti con i suoi capolavori degli anni Ottanta – mi riferisco alla sacra triade carpenteriana composta da 1997: Fuga da New York, La cosa e Grosso guaio a Chinatown – allora potreste capire a cosa mi riferisco: Kurt Russell è un’icona del cinema di genere, uno dei migliori interpreti action degli ultimi quarant’anni, capace sia d’incanalare una virilità “classica” (Snake Plissken ne è l’emblema supremo) sia di smontarla e irriderla come fa il leggendario Jack Burton, vera e propria decostruzione del macho americano, che schernisce – e in parte riafferma – numerosi cliché della sfera maschile. Non tutti però ricordano che la sua formazione risale all’intrattenimento per famiglie (Russell firmò un contratto decennale con la Disney alla fine degli anni Sessanta), e che il cinema per ragazzi è tornato ciclicamente nella sua carriera, soprattutto prima che Quentin Tarantino lo ripescasse per Grindhouse – A prova di morte; da quel momento in poi, Russell ha riconquistato il suo ruolo nell’immaginario avventuroso, con prove memorabili in Bone Tomahawk, The Hateful Eight e Guardiani della Galassia: Vol. 2, senza dimenticare le sue apparizioni nella saga di Fast & Furious. Anche oggi, con i baffoni e il viso piacevolmente invecchiato, l’attore di Springfield riesce a essere più duro che mai.

Proprio per questa ragione, un innocuo family movie come Qualcuno salvi il Natale sembra giungere al momento più sbagliato, ma in fin dei conti serve a dimostrare che la sua versatilità e la sua propensione all’autoironia non sono affatto sparite. Alla produzione c’è lo specialista Chris Columbus, un po’ arrugginito ma tuttora capace di garantire uno svago ben realizzato e sincero, affidato al regista Clay Kaytis (quello di Angry Birds) e allo sceneggiatore Matt Lieberman, entrambi semi-esordienti. L’esito finale rievoca le pellicole natalizie che Hollywood produceva tra gli anni Novanta e i primi Duemila, dove la quotidianità dei protagonisti umani intreccia l’eccezionalità della fiaba morale: la piccola Kate (Darby Camp) e suo fratello Teddy (Judah Lewis) rimangono soli durante la vigilia perché la loro madre ha un turno in ospedale, mentre il padre – vigile del fuoco – ha recentemente perso la vita sul lavoro. Quando la ragazzina decide di restare sveglia per cogliere Babbo Natale sul fatto, Teddy – che ha preso una cattiva strada e ruba le auto con gli amici – è costretto a farle compagnia, pur essendo ormai convinto che il leggendario signore in rosso non esista. Ovviamente si sbaglia: Babbo Natale si palesa nel loro soggiorno e prosegue il giro del quartiere, ma Kate e Teddy s’intrufolano sulla sua slitta e la fanno precipitare involontariamente. Con il mezzo distrutto, il sacco disperso e le renne a spasso per Chicago, Babbo Natale ha poche ore per salvare la festa più amata di tutte, ma fratello e sorella sono determinati ad aiutarlo.

Come si può intuire dalla trama, The Christmas Chronicles (titolo originale) permette a Netflix di alimentare il retaggio dei film natalizi convenzionali, quelli che un tempo sarebbero usciti direct to video su VHS o DVD, e ora trovano spazio sulle piattaforme streaming. Il sottotesto, se così possiamo chiamarlo, è tipico di questi prodotti: il Natale è visto come l’antidoto ai mali del mondo, unica festa capace di suscitare quei sentimenti di compassione, empatia e solidarietà che ci rendono effettivamente migliori; al contempo, l’avventura è un percorso formativo che determina la crescita individuale (i prodromi del self made man sono tutti qui) e rinsalda i legami familiari, articolandosi inoltre come un processo di elaborazione del lutto. Si tratta di un film concepito per i bimbi, ma godibile anche per i genitori grazie alla narrazione compatta e ben ritmata, dove trovano spazio gag e battute innocenti che guardano soprattutto ai giovanissimi. Non mancano alcune trovate visive carine (soprattutto nel viaggio di Kate da Chicago al Polo Nord), ma la star assoluta è lui: il Santa Claus di Kurt Russell.

Avendo a che fare con un Babbo Natale più affascinante della media, Kaytis ne valorizza la fisicità e il magnetismo, ritraendolo come un agile superuomo che potrebbe tranquillamente farsi strada a suon di cazzotti, ma se lo risparmia per animo pacifista (e per dare il buon esempio ai bambini). Kurt Russell ha l’aria di divertirsi un mondo, e di fatto regge il film da solo, senza nemmeno dover gigioneggiare o uscire dai margini: gli basta una combinazione di guasconeria e tranquillità serafica, cui si aggiunge uno charme innato. Così, quando inforca gli occhiali scuri e canta It’s Christmas Time Pretty Baby di Elvis Presley (lui che ha interpretato il Re del Rock nel biopic televisivo di John Carpenter), il tutto sembra perfettamente naturale, anche perché i numeri musicali sono immancabili in questi film natalizi.

Buoni sentimenti, un pizzico di retorica, ed elfi in CGI che folleggiano come minions: c’è tutto l’occorrente per rispettare la tradizione, senza novità, ma con il valore aggiunto di un protagonista irresistibile.

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