Diciamolo chiaramente, c’è qualcosa di bizzarro nel vedere Kurt Russell che interpreta Babbo Natale. Se siete cresciuti con i suoi capolavori degli anni Ottanta – mi riferisco alla sacra triade carpenteriana composta da 1997: Fuga da New York, La cosa e Grosso guaio a Chinatown – allora potreste capire a cosa mi riferisco: Kurt Russell è un’icona del cinema di genere, uno dei migliori interpreti action degli ultimi quarant’anni, capace sia d’incanalare una virilità “classica” (Snake Plissken ne è l’emblema supremo) sia di smontarla e irriderla come fa il leggendario Jack Burton, vera e propria decostruzione del macho americano, che schernisce – e in parte riafferma – numerosi cliché della sfera maschile. Non tutti però ricordano che la sua formazione risale all’intrattenimento per famiglie (Russell firmò un contratto decennale con la Disney alla fine degli anni Sessanta), e che il cinema per ragazzi è tornato ciclicamente nella sua carriera, soprattutto prima che Quentin Tarantino lo ripescasse per Grindhouse – A prova di morte; da quel momento in poi, Russell ha riconquistato il suo ruolo nell’immaginario avventuroso, con prove memorabili in Bone Tomahawk, The Hateful Eight e Guardiani della Galassia: Vol. 2, senza dimenticare le sue apparizioni nella saga di Fast & Furious. Anche oggi, con i baffoni e il viso piacevolmente invecchiato, l’attore di Springfield riesce a essere più duro che mai.
Proprio per questa ragione, un innocuo family movie come Qualcuno salvi il Natale sembra giungere al momento più sbagliato, ma in fin dei conti serve a dimostrare che la sua versatilità e la sua propensione all’autoironia non sono affatto sparite. Alla produzione c’è lo specialista Chris Columbus, un po’ arrugginito ma tuttora capace di garantire uno svago ben realizzato e sincero, affidato al regista Clay Kaytis (quello di Angry Birds) e allo sceneggiatore Matt Lieberman, entrambi semi-esordienti. L’esito finale rievoca le pellicole natalizie che Hollywood produceva tra gli anni Novanta e i primi Duemila, dove la quotidianità dei protagonisti umani intreccia l’eccezionalità della fiaba morale: la piccola Kate (Darby Camp) e suo fratello Teddy (Judah Lewis) rimangono soli durante la vigilia perché la loro madre ha un turno in ospedale, mentre il padre – vigile del fuoco – ha recentemente perso la vita sul lavoro. Quando la ragazzina decide di restare sveglia per cogliere Babbo Natale sul fatto, Teddy – che ha preso una cattiva strada e ruba le auto con gli amici – è costretto a farle compagnia, pur essendo ormai convinto che il leggendario signore in rosso non esista. Ovviamente si sbaglia: Babbo Natale si palesa nel loro soggiorno e prosegue il giro del quartiere, ma Kate e Teddy s’intrufolano sulla sua slitta e la fanno precipitare involontariamente. Con il mezzo distrutto, il sacco disperso e le renne a spasso per Chicago, Babbo Natale ha poche ore per salvare la festa più amata di tutte, ma fratello e sorella sono determinati ad aiutarlo.
Come si può intuire dalla trama, The Christmas Chronicles (titolo originale) permette a Netflix di alimentare il retaggio dei film natalizi convenzionali, quelli che un tempo sarebbero usciti direct to video su VHS o DVD, e ora trovano spazio sulle piattaforme streaming. Il sottotesto, se così possiamo chiamarlo, è tipico di questi prodotti: il Natale è visto come l’antidoto ai mali del mondo, unica festa capace di suscitare quei sentimenti di compassione, empatia e solidarietà che ci rendono effettivamente migliori; al contempo, l’avventura è un percorso formativo che determina la crescita individuale (i prodromi del self made man sono tutti qui) e rinsalda i legami familiari, articolandosi inoltre come un processo di elaborazione del lutto. Si tratta di un film concepito per i bimbi, ma godibile anche per i genitori grazie alla narrazione compatta e ben ritmata, dove trovano spazio gag e battute innocenti che guardano soprattutto ai giovanissimi. Non mancano alcune trovate visive carine (soprattutto nel viaggio di Kate da Chicago al Polo Nord), ma la star assoluta è lui: il Santa Claus di Kurt Russell.
Avendo a che fare con un Babbo Natale più affascinante della media, Kaytis ne valorizza la fisicità e il magnetismo, ritraendolo come un agile superuomo che potrebbe tranquillamente farsi strada a suon di cazzotti, ma se lo risparmia per animo pacifista (e per dare il buon esempio ai bambini). Kurt Russell ha l’aria di divertirsi un mondo, e di fatto regge il film da solo, senza nemmeno dover gigioneggiare o uscire dai margini: gli basta una combinazione di guasconeria e tranquillità serafica, cui si aggiunge uno charme innato. Così, quando inforca gli occhiali scuri e canta It’s Christmas Time Pretty Baby di Elvis Presley (lui che ha interpretato il Re del Rock nel biopic televisivo di John Carpenter), il tutto sembra perfettamente naturale, anche perché i numeri musicali sono immancabili in questi film natalizi.
Buoni sentimenti, un pizzico di retorica, ed elfi in CGI che folleggiano come minions: c’è tutto l’occorrente per rispettare la tradizione, senza novità, ma con il valore aggiunto di un protagonista irresistibile.
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