The Sisters Brothers, il western picaresco di Jacques Audiard: la recensione da #Venezia75

The Sisters Brothers, il western picaresco di Jacques Audiard: la recensione da #Venezia75

Di Lorenzo Pedrazzi

Il vecchio West del nostro immaginario è un contenitore di storie che spesso attingono a registri diversi, come hanno appena dimostrato i fratelli Coen nell’ottimo The Ballad of Buster Scruggs. D’altra parte, si tratta dell’unica forma di mitologia americana, e quindi risulta soggetta a continue riletture che esprimono la vastità del suo macrocosmo: il romanzo di Patrick deWitt da cui è tratto The Sisters Brothers, non a caso, sfrutta i paesaggi della frontiera per costruire un western picaresco, riconoscendo al genere – e all’ambientazione – il valore di una sandbox pressoché illimitata in cui giocare, mescolandone i topói narrativi secondo la propria sensibilità.

Dal canto suo, il cinema di Jacques Audiard ha un’asprezza melodrammatica che sembra lontanissima dall’idea di un western farsesco, eppure il suo primo film in lingua inglese lo conduce proprio in quella direzione: The Sisters Brothers è caratterizzato da una notevole alternanza di toni, ma la commedia nera ha un ruolo di primo piano, dato che le pistolettate e gli spargimenti di sangue sono spesso screziati da un umorismo paradossale. Al centro della trama ci sono i due eponimi fratelli, Eli e Charlie Sisters (John C. Reilly e Joaquin Phoenix), che lavorano come cacciatori di taglie al soldo del Commodoro (Rutger Hauer). Quando ricevono l’incarico di acciuffare il chimico Hermann Kermit Warm (Riz Ahmed), inventore di una formula che facilita la ricerca dell’oro, Eli e Charlie si mettono in viaggio per San Francisco, preceduti da un investigatore (John Morris, interpretato da Jake Gyllenhaal) che deve trovare Hermann per loro: la caccia, però, avrà esiti inaspettati, con diversi cambi di fronte.

Nella prima metà del film, la storia procede su due binari paralleli che corrispondono ad altrettante coppie maschili, dove la caratterizzazione dei singoli personaggi influenza le dinamiche di rapporto: se Hermann e John sfiorano addirittura la bromance, Eli e Charlie vivono invece i contrasti della solidarietà virile, animati da personalità antitetiche che non facilitano la convivenza. Il nucleo del racconto appartiene comunque ai due fratelli, le cui avventure ricalcano alcuni tratti salienti del romanzo picaresco, soprattutto considerando le loro origini sfortunate (il padre ubriacone e violento), la bassa estrazione sociale e le azioni riprovevoli che compiono per sopravvivere, ma anche la centralità del viaggio come avventura formativa. Attraverso gli incontri che fanno, e le situazioni – talvolta assurde, quasi grottesche – in cui si trovano, Eli e Charlie ripensano le loro vite, e sono indotti (quando non esplicitamente obbligati) al cambiamento. L’arco narrativo ha il pregio della completezza, e indica una riscoperta della propria umanità attraverso il ritorno alle radici, purgandosi anche letteralmente dalle scorie del passato.

Peccato che la regia di Audiard non sempre abbia una forte individualità, e talvolta si limiti a un lavoro di pura confezione (peraltro ottimo, anche grazie al direttore della fotografia Benoît Debie). Gli elementi di maggiore originalità emergono dalla messa in scena della violenza: fin dalla sequenza iniziale, Audiard sceglie un approccio antispettacolare che tende a relegare l’azione fuori campo, oppure ad avvolgerla nell’oscurità, mostrandone – più che l’atto in sé – gli effetti sull’ambiente e sui personaggi. In effetti, l’epopea di The Sisters Brothers esprime tutta la futilità della violenza, il suo circolo vizioso senza fine, e l’epilogo si fa beffe di molti cliché del genere western: la vendetta non porta ad alcun climax, ma sfocia nella quotidianità e nella distensione. Ripensando al sogno ricorrente di una società pacifica e democratica, coltivato da Hermann nel suo progetto utopistico, non potrebbe esserci un finale più adatto.

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