Ride or Die: il pubblico chiede adrenalina, il cinema risponde

Ride or Die: il pubblico chiede adrenalina, il cinema risponde

Di Filippo Magnifico

L’adrenalina è sempre stata una componente essenziale del cinema. Serve per coinvolgere lo spettatore, per immergerlo nell’azione facendogli provare le stesse sensazioni dei personaggi immortalati sul grande schermo.

Le prime sperimentazioni cinematografiche ci hanno insegnato proprio questo. Con il montaggio alternato, utilizzato per la prima volta da Edwin S. Porter in Life of an American Fireman nei primi del ‘900 e successivamente perfezionato da David W. Griffith, creatore del “salvataggio all’ultimo minuto”, il pubblico ha conosciuto un nuovo tipo di brivido e, a quanto pare, non è più riuscito a farne a meno.
Si potrebbe dire, addirittura, che con il passare del tempo la sua sete di azione sia cresciuta, come ogni dipendenza, dando vita a pellicole sempre più esagerate, sempre più adrenaliniche, sempre più impossibili.
D’altronde la plausibilità si può anche accantonare nel momento in cui il buio della sala ci avvolge, non è di certo la prima cosa di cui abbiamo bisogno. O, per essere più specifici, non è quello che serve ad un appassionato di cinema action.

Chi è appassionato di cinema action cerca poche cose ma buone, questo non vuol certo dire che il cinema di azione sia un genere minore, come molti vorrebbero farci credere. È forse uno dei generi più complicati perché implica un livello di attenzione costante, molto difficile da trovare ma soprattutto da ottenere. Non è semplice coinvolgere il pubblico in cerca di adrenalina, proprio per questo l’azione si è sempre dimostrata il terreno fertile per le sperimentazioni.

Da un lato abbiamo il cinema di azione duro e puro, che non è mai passato di moda e che continua a crescere. Quello che, giusto per intenderci, si è concretizzato negli ultimi anni in saghe come Fast & Furious, Mission: Impossible e operazioni nostalgiche come The Expendables, prova concreta che l’azione e i suoi protagonisti (un elenco che comprende nomi come Sylvester Stallone, Dolph Lundgren, Bruce Willis, Arnold Schwarzenegger, Chuck Norris, Jean-Claude Van Damme) occupano un posto speciale nel cuore di moltissime persone. Ci sarà sempre spazio per questo tipo di film (per fortuna) e ci sarà sempre spazio per i vari Vin Diesel e Dwayne Johnson, duri dall’animo nobile, in grado di compiere azioni straordinarie e di salvare sempre la situazione.

Dall’altro lato ci sono le sperimentazioni visive, come quelle di Terminator 2, che ha mostrato a tutto il mondo il grande potenziale della CGI confermandosi uno dei migliori action (anche se il termine è riduttivo) di sempre. Un film spartiacque, perché c’è un prima e un dopo Terminator 2, territori che fanno parte dello stesso mondo ma che in realtà sono profondamente diversi.
Ci sono poi pellicole che hanno cercato un nuovo linguaggio cinematografico o hanno cercato di perfezionarne uno già esistente, come ad esempio Cloverfield, che ha giocato la carta dell’immedesimazione passando attraverso il found footage, un genere che ha mosso i primi passi nel nostro paese, grazie a Ruggero Deodato e al suo Cannibal Holocaust, raggiungendo la sua massima esaltazione con The Blair Witch Project.
Più recentemente, con Hardcore!, gli spettatori hanno potuto sperimentare il POV (acronimo di “point of view”) dove l’azione si svolge in prima persona e quello che ci viene mostrato sul grande schermo è il campo visivo del protagonista. Non una novità, sia chiaro, la stessa tecnica era già stata usata in pellicole come Una Donna nel Lago e La Fuga (primi veri esempi di cinema in prima persona, realizzati negli anni ‘40) e nei più “recenti” Arca Russa e Maniac, ma con Hardcore! il cinema action è riuscito trovare una nuova esaltazione, in grado di strizzare l’occhio alle avventure videoludiche.

Una delle più recenti sperimentazioni è (possiamo dirlo con orgoglio) tutta italiana e risponde al nome di RIDE, il thriller su due ruote diretto da Jacopo Rondinelli e scritto, co-prodotto e supervisionato artisticamente da Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, i nomi dietro quel gioiello italiano conosciuto con il nome di Mine.
Stiamo parlando, infatti, del primo film realizzato sfruttando al massimo le potenzialità delle telecamere GO PRO. Durante le riprese sono state utilizzate una media di 20 action cam contemporaneamente, per ottenere un effetto unico e coinvolgente, come hanno specificato gli stessi Fabio & Fabio nella nostra intervista:

Anche in questo caso le contaminazioni sono molteplici, tra citazioni al glorioso cinema action del passato e a produzioni più recenti come Black Mirror (inquietante e terribilmente attuale nel suo essere distopico), con un occhio di riguardo, anche in questo caso, al mondo dei videogiochi, che con il passare del tempo è riuscito ad assimilare il meglio del cinema (e viceversa).

RIDE, dal 6 settembre al cinema, è l’ultima grande risposta alla richiesta di adrenalina di quel tipo di pubblico che, come suggerisce lo stesso titolo del film, non ama la staticità ma preferisce correre, esplorare nuovi territori, senza mai fermarsi.
Una risposta valida, come confermato dalla nostra recensione, che prosegue quel percorso di rinascita nostrana iniziato con Lo chiamavano Jeeg Robot.
Una risposta, quindi, che ci rende doppiamente orgogliosi.

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