L’esordio alla regia di Jonah Hill arriva, toccante e sincero, a confermaci qualcosa che da molto tempo avevamo intuito: dietro l’attore comico c’è una personalità ben più complessa, quasi enigmatica, che preferisce nascondersi dietro la maschera. Fin dai tempi di Superbad in qualche modo avevamo percepito che lo stile istrionico, sboccato e sbruffone di Hill celasse invece il tormento di chi si sente in realtà un outcast, tenuto ai margini. Ed è proprio questo che il suo film racconta. Quanto sia letteralmente autobiografico non possiamo saperlo con certezza, ma di certo si capisce che è molto, molto personale. La vicenda del giovanissimo Stevie, che nel tentativo di sfuggire una vita familiare complessa – madre spesso assente e fratello maggiore manesco – trova in un gruppo di skaters il nucleo perfetto per nascondersi, sentirsi al sicuro, imparando spesso a sue spese che crescere significa anche sbattere la testa sull’asfalto.
Come il titolo il titolo del film esplicita, l’ambientazione temporale è parte fondamentale della storia, poiché tratteggia un momento storico e culturale di transizione che determina il senso di spaesamento dei personaggi, non solo del giovane protagonista. Non ci sono veri e propri antagonisti in Mid90s, quanto piuttosto una serie di personalità frammentate, incerte, purtroppo corrose internamente dalla frustrazione, come il doloroso fratello di Stevie, Ian, interpretato da un Lucas Hedges sontuoso. Dietro momenti di delicatezza e di soltanto apparente evasione si celano invece storie di violenza fisica e psicologica, nei sobborghi di una Los Angeles alienante e dispersiva come non mai. Jonah Hill mette in scena questa storia di crescita con una lucidità narrativa ed estetica impressionante: come nella vita reale anche lo stato emotivo di Stevie scivola dalla felicità alla disperazione in pochi istanti, facendo di Mid90s un film che scalda gli animi e un minuto tempo li gela con scene di dolore e forza emotiva impossibili da ignorare.
Con il suo primo sforzo dietro la macchina da presa Jonah Hill ha raccontato qualcosa di più che la sua storia: ha raccontato se stesso. In maniera più profonda e lancinante di quanto un semplice racconto di formazione avrebbe probabilmente saputo fare. Hill ha messo in scena la speranza e insieme la disillusione, la gioia accompagnata dalla frustrazione. Mid90s è un grido di libertà e disperazione di sincerità quasi respingente, è cinema del cuore che osa aprirsi per mostrare anche di essere dilaniato. Un film piccolo, silenzioso, quasi timido nella sua confezione, ma gigantesco nel suo coraggio.
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