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La profezia dell’Armadillo – La recensione del film da #Venezia75

Pubblicato il 03 settembre 2018 di Lorenzo Pedrazzi

Nella penuria di opere fortemente “generazionali”, Zerocalcare ha indubbiamente colmato una lacuna dell’immaginario nostrano, proponendosi come il cantore di quei trentenni che vivono una profonda disillusione sociale, economica, romantica e professionale. Le sue opere – dalle storie brevi ai libri più strutturati – hanno immediatamente guadagnato una fama di culto, non solo perché sono “sgangherate e sgangherabili” (come avrebbe detto Umberto Eco), ma anche perché parlano davvero il linguaggio del loro pubblico ideale: Zerocalcare, infatti, non si limita a coagulare in sé le frustrazioni e i balbettii dei giovani adulti, ma utilizza riferimenti culturali che risalgono alla loro (anzi, alla nostra) infanzia, peraltro giustificandone sempre la presenza all’interno della narrazione. Feticista e postmoderno, ma mai gratuito.

Il passaggio al cinema desta una certa curiosità, soprattutto in relazione a quest’opera specifica, La profezia dell’Armadillo. Il primo libro di Zerocalcare – autoprodotto nel 2011, poi ripubblicato da BAO Publishing in una nuova veste – è infatti un mosaico di frammenti autonomi, alcuni dei quali apparentemente slegati fra loro, ma connessi da una sottile trama orizzontale: Zero, illustratore di Rebibbia, viene a conoscenza della morte di Camille, amica d’infanzia francese per la quale ha sempre nutrito dei sentimenti molto profondi, pur senza mai essere riuscito a esprimerli. Nel corso del libro, Zero vive una serie di buffe avventure quotidiane che gli permettono di elaborare il lutto, accompagnato da un grosso Armadillo parlante (proiezione della sua coscienza) e dall’amico Secco, che si guadagna da vivere con il poker on-line. Il film di Emanuele Scaringi segue il medesimo tracciato, ma ovviamente affida i personaggi ad attori professionisti, aumentando così il distacco fra la biografia di Zerocalcare e la vicenda narrata.

L’impatto iniziale suscita un lieve straniamento, soprattutto per chi segue da anni il fumettista romano: siamo troppo abituati a identificare lo Zero-personaggio con lo Zero-autore (ovvero Michele Rech) per vederlo rappresentato con altre fattezze. Ciononostante, basta poco per abituarsi all’idea che Simone Liberati sia lo scalcinato “eroe” che tutti conosciamo: l’attore di Cuori puri – oltre ad avere una notevole somiglianza fisica con Zero – è bravo a metterne in scena le nevrosi, le insofferenze e il senso d’inadeguatezza rispetto agi obblighi della vita adulta, ammesso che questa distinzione abbia ancora senso nel clima disincantato de La profezia dell’Armadillo; e proprio l’eponimo Armadillo rappresenta il punto più delicato della trasposizione, anche per banali questioni tecniche. La scelta di vestire Valerio Aprea con un costume di gommapiuma rispecchia l’artigianalità del lavoro di Rech, e permette a Liberati di interagire direttamente con un’entità fisica, la cui goffaggine risulta ancora più tangibile per le dimensioni della maschera. Le schermaglie fra Zero e l’animale sono l’immagine di un conflitto tutto interiore, e recuperano le battute del libro nel tentativo di riprodurne il ritmo, con alterne fortune; Aprea, in compenso, ha il merito di non eccedere mai troppo nel macchiettistico: il suo Armadillo è una creatura affettuosa ma ambigua, divisa tra il ribaltamento della morale e l’esigenza di far maturare il protagonista. A tal proposito, l’evoluzione del dasipodide in una sorta di “grillo parlante” (sorta di tutore che cerca di traghettare Zero nella vita adulta) non convince del tutto, e sembra rispondere all’esigenza di dare una chiusura alla storia, laddove invece le opere del fumettista tendono sempre verso la sospensione e l’apertura.

Questo però non impedisce al film di essere stralunato e divertente, a tratti toccante, soprattutto quando rievoca la nostalgia dei treni perduti, delle occasioni mancate e delle parole non dette; a tal proposito, le sequenze in flashback con i protagonisti adolescenti hanno una delicatezza genuina e naif che spesso manca al cinema italiano mainstream, incapace di calarsi nello sguardo dei teen-ager per mettere in scena luci e ombre dell’età puberale. Rech e gli altri sceneggiatori (Oscar Gilioti, Valerio Mastandrea, Johnny Palomba) riescono inoltre a rendere più organico un materiale che, in origine, era molto frammentario, e lo riassemblano con cura per integrare gli episodi più autonomi nel flusso della storia, trovando una coesione che si addice maggiormente al progetto. In virtù di questo adattamento, La profezia dell’Armadillo si rende fruibile sia dai lettori del libro (che troveranno diversi materiali inediti) sia dagli spettatori casuali, passeggiando in equilibrio fra il rispetto dell’opera e gli obblighi tecnico-artistici della produzione.

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