Strano destino quello della DeLorean DMC-12, unica automobile commercializzata dalla DeLorean Motor Company, passata alla Storia grazie alla trilogia di Ritorno al futuro: concepita per diventare il sogno futuristico degli americani, la vettura è stata resa iconica dai film di Robert Zemeckis, che l’hanno trasformata in una chimera di celluloide, radicandola nell’immaginario collettivo insieme alle spade laser, ai jetpack e agli hoverboard. Eppure, la DMC-2 è un’auto reale, prodotta in circa 9000 modelli fra il 1981 e il 1983, pochi mesi dopo la bancarotta, ancora in attesa di quell’immortalità che sarebbe arrivata solo nel 1985 grazie a un bizzarro scienziato di Hill Valley e al suo giovane amico.
Driven non è un biopic su John Z. DeLorean, ingegnere e fondatore della DMC, ma racconta la storia del suo coinvolgimento in un traffico di droga per salvare la compagnia dal fallimento, focalizzando l’attenzione principalmente su Jim Hoffman (Jason Sudeikis), pilota di aerei che trasporta stupefacenti dalla Bolivia agli Stati Uniti, marito di Ellen (Judy Greer) e padre di due figli. Quando l’agente Benedict Tissa (Corey Stoll) trova un considerevole quantitativo di cocaina sul suo aereo, Jim è costretto a diventare un informatore dell’FBI per incastrare il trafficante Morgan Hetrick (Michael Cudlitz), trasferendosi in California a spese dello stato. Il suo vicino di casa è proprio John DeLorean (Lee Pace), impegnato a lanciare la sua società dopo una lunga esperienza alla General Motors, ed estremamente fiducioso nel prototipo della DMC-12. Trovare liquidità, però, è difficile anche per lui, quindi si rivolge a Jim per approfittare delle sue conoscenze nel mondo degli affari illeciti, attirando l’attenzione dei federali.
Il regista Nick Hamm e lo sceneggiatore Colin Bateman (gli stessi de Il viaggio – The Journey) impostano il racconto in forma di commedia, ritraendo Jim come un simpatico everyman che si fa coinvolgere in faccende più grandi di lui, ma capace di cavarsela grazie alla sua faccia tosta e un pizzico di astuzia. La scelta è vincente: il lato umoristico emerge dai dialoghi frizzanti e ben ritmati, nei quali Jason Sudeikis si trova perfettamente a proprio agio, ma anche dal contrasto fra l’idiozia di Jim e la granitica serietà dei suoi interlocutori, soprattutto John e Tissa, che incarna il grigiore dell’FBI. In questo modo, il protagonista mette in scena l’inadeguatezza dell’uomo comune davanti al superuomo di successo, poiché DeLorean è l’emblema del maschio alfa cui tutto risulta facile (in apparenza). Primo CEO trasfigurato in star nazionale, John dà corpo al sogno americano: è bello, ha successo, è sposato con una donna stupenda, ha una casa meravigliosa e due figli splendidi; insomma, rappresenta un modello sociale che trae origine dal perbenismo degli anni Cinquanta e si riverbera ancora oggi.
Il confronto tra lui e Jim racchiude in sé molte antinomie del tessuto statunitense, dove privilegi e discriminazioni convivono anche nelle classi borghesi. Da un lato, Jim scorge in DeLorean una possibilità di ricchezza, gettando rapide occhiate a un mondo fatto di lussi e popolarità, come un adolescente reietto che invidia il campione di football; dall’altro, lo stesso DeLorean ha bisogno di Jim per orientarsi in un sottobosco che non conosce, lontanissimo dai fasti cui è abituato. La sua utopia si scontra duramente con la realtà, ignaro del fatto che solo la vera macchina dei sogni – Hollywood – sarà in grado di consacrare il suo prodotto (e alcuni dialoghi anticipano proprio questa sorte futura, ammiccando al pubblico in modo tutt’altro che velato). L’ironia attorno alla qualità effettiva della DMC-12 rende il tutto ancora più paradossale, facendone l’emblema di tutto ciò che il marketing e la società dei consumi rappresentano per davvero: una bella confezione, luminosa e allettante, che nasconde un prodotto scadente. Non è un caso che la sua fortuna sia confinata al grande schermo.
Driven sintetizza tutto questo in una commedia solidissima e brillante, unendo le esigenze della satira e della cronaca romanzata.
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