Esattamente dieci anni fa Sam Mendes, Kate Winslet e Leonardo DiCaprio ci avevano regalato con Revolutionary Road uno dei più toccanti e al tempo stesso spietati ritratti sulla famiglia americana e le sue contraddizioni, in un’epoca solo apparentemente “felice” quali erano gli anni ‘50. Oggi Wildlife, esordio alla regia di Paul Dano, arriva a toccare le corde dell’animo umano come in precedenza erano riusciti a fare gli altri artisti sopra citati, regalandoci un’opera di introspezione psicologica e di profondità rarissime, quindi proprio per questo ancor più preziosa. Se il film di Mendes però metteva in scena la crisi di una famiglia borghese, Wildlife – adattamento del romanzo di Richard Ford scritto da Dano insieme a Zoe Kazan – mette in scena invece le difficoltà della cosiddetta working class: dopo il licenziamento improvviso di Jerry Brinson (Jake Gyllenhaal) le sopraggiunte difficoltà economiche costringono sua moglie Jeanette (Carey Mulligan) e il figlio quattordicenne Joe (Ed Oxenbould) a contribuire alle entrate familiari trovandosi un lavoro. Quando poi il capofamiglia si allontana per andare a cercare denaro spegnendo incendi nei boschi del Montana, ecco che la frustrazione della moglie inizia a manifestarsi, minando le fondamenta di un nucleo familiare confinato in un microcosmo sociale che non permette alcuno sfogo alle proprie insoddisfazioni.
Dano mette in scena con lucidità impressionante un dramma familiare dove ogni azione è coerente con lo sviluppo psicologico dei personaggi, dove ogni gesto o parola raccontano di dilemmi interiori, di depressione silenziosa, di illusioni infrante. La regia è pulita ma mai banale, assolutamente il contrario: Dano dimostra una padronanza notevole della macchina da presa proprio nel saperla trattenere, nel lasciare che siano le inquadrature e le luci a sottolineare lo stato interiore dilaniato dei tre componenti della famiglia. Oltre che cineasta elegante poi l’attore si dimostra magnifico direttore di colleghi: era davvero un po’ di tempo ad esempio che non vedevamo Jake Gyllenhaal così in parte, aderente al ruolo e capace di dargli spessore drammatico anche senza accentuare la sua performance. Se l’attore dovesse raggiungere la candidatura all’Oscar come non protagonista – l’eventuale seconda dopo I segreti di Brokeback Mountain – non ci sarebbe davvero di cosa rammaricarsi. Stesso discorso vale per la Mulligan, finalmente scrollatasi di dosso una certa freddezza altolocata e capace invece di sfoderare una prova dolente e appassionata. A dare loro supporto un caratterista di enorme talento come Bill Camp, davvero uno dei migliori oggi sulla piazza. Meritevole di segnalazione anche il giovane Oxenbould, perfetto nel rappresentare lo spaesamento innocente di un figlio che non capisce fino in fondo cosa stia succedendo ai genitori.
Cinema di sentimenti quello realizzato da Paul Dano con Wildlife, un lungometraggio che analizza le tensioni interne al nucleo familiare con una verità a tratti addirittura troppo dolorosa da guardare. L’umanità e la finitezza delle psicologie raccontate è talmente precisa da commuovere soprattutto quando, fragile quale è, si spezza e cade in errore. Non ci sono ipocriti o maligni in questo film, soltanto esseri umani che soccombono al dolore di vivere, quello che tutti i giorni logora le persone comuni. In poche parole, Wildlife è un piccolo grande gioiello che mostra con amore e partecipazione il significato dell’essere umani e perfettibili. E di conseguenza è grande cinema.
Vi invitiamo a scaricare la nostra APP gratuita di ScreenWeek Blog (per iOS e Android) per non perdervi tutte le news sul mondo del cinema, senza dimenticarvi di seguire il nostro canale ScreenWeek TV.