A due anni di distanza da La La Land, Damien Chazelle apre nuovamente la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con Il primo uomo, che racconta la conquista della Luna dal punto di vista del primo essere umano che vi mise piede, Neil Armstrong (Ryan Gosling). Il regista, l’attore e la protagonista femminile – Claire Foy – hanno presentato il film nella giornata d’apertura della manifestazione, insieme a Jason Clarke, Olivia Hamilton e lo sceneggiatore Josh Singer.
Chazelle è nato nel 1985, quando la missione dell’Apollo 11 era stata già archiviata nella memoria, quindi la produzione del film ha permesso al giovane cineasta di ricostruire la storia dell’impresa:
La mia generazione è cresciuta in un mondo dove lo spazio era stato già conquistato, con immagini molto iconiche, quindi tendiamo a dare tutto per scontato. Di conseguenza, ho voluto capire come tutto è iniziato e raccontare questa storia.
La ricerca ha coinvolto anche lo stesso Gosling, che ha preparato la sua interpretazione con l’aiuto della famiglia Armstrong:
Ho avuto molto aiuto dai figli di Neil, ho conosciuto la sua ex moglie Janet, ho parlato con le persone che lo hanno conosciuto durante l’infanzia, ho anche visitato il museo di Armstrong… quindi ho avuto tante risorse su cui appoggiarmi. È risaputo che [Neil] era una persona molto umile e reticente: la sfida era rispettare questa parte del suo carattere, creando però delle finestre di apertura per le sue emozioni. È stato fantastico lavorare con attori eccellenti che mi hanno permesso di stabilire la giusta atmosfera per il personaggio.
Il primo uomo è un film che non si risparmia alcuni dettagli tecnici molto precisi, quindi la preparazione dell’attore ha toccato anche la scienza del volo, o quantomeno le sue basi:
Ho dovuto capire l’abc del volo. Studiando il personaggio, ho realizzato perché lui è diventato un grande astronauta e io no. L’astronauta entra consapevolmente in un aereo che non ha mai volato prima, e lo porta a un punto di rottura solo per far fare un passo avanti alla tecnologia aeronautica. È una categoria particolare di persone.
In effetti, le missioni di volo richiedono un’impressionante tempra psicologica, anche perché obbligano il pilota a sostare per molte ore in ambienti angusti. Per Jason Clarke, che interpreta l’astronauta Edward Higgins White, non è stato affatto semplice:
Damien ha creato capsule molto realistiche… a un certo appunto stavo avendo un esaurimento, è difficile farsi chiudere lì dentro: suscitano una forte sensazione di claustrofobia.
Il regista conferma di aver voluto trasmettere questa precisa impressione:
Vedendo le capsule delle navicelle nei musei, mi sono reso conto di quanto siano piccole. Così, informandomi, ho cercato di rendere fruibile la sensazione di essere nello spazio. È un vuoto nero, e tu sei lì che viaggi in una lattina volante: una sensazione che trovo terrificante, quindi mi affascina quello che fanno gli astronauti.
Per quanto riguarda i caschi e le tute, invece, la produzione ha potuto disporre di quelli originali, utili anche per riprodurre il suono del respiro degli astronauti:
Abbiamo avuto molto appoggio in ogni dettaglio, e per i suoni abbiamo potuto contare su una squadra che ha usato il casco di Armstrong: il respiro che sentite è stato fatto attraverso il casco usato da lui. Anche le tute sono vere. È sorprendente che esistano ancora. È meglio usare gli originali che creare delle riproduzioni, il suono e l’immagine che restituiscono sono migliori.
Il film si concentra anche sulla vita familiare di Armstrong, il suo rapporto con la moglie e con i figli. Claire Foy sottolinea l’importanza di questo aspetto:
Volevamo onorare il modo in cui i figli vedevano il padre e la madre. Per loro il padre non era un astronauta, ero il loro papà. Abbiamo chiesto loro chi raccontasse le fiabe, chi facesse il poliziotto buono e chi quello cattivo, cose così. Sono stati molto generosi. Hanno consegnato la loro storia nelle nostre mani.
A tal proposito, Olivia Hamilton aggiunge:
Tutti noi avevamo il ritratto eroico dell’astronauta, ma il coinvolgimento della famiglia era un tassello difficile da aggiungere.
Singer ricorda l’importanza del contributo della famiglia nella realizzazione dell’opera:
Gli Armstrong ci hanno aiutato molto, e ci hanno fornito vari dettagli per capire chi fosse Neil. Siamo andati ancora più a fondo rispetto al libro [First Man: A Life of Neil A. Armstrong di James Hansen]. Abbiamo fornito loro la sceneggiatura per avere delle annotazioni.
Questa focalizzazione sull’intimità del personaggio era importante per Chazelle:
I miei film precedenti trattavano esperienze personali, invece in questo caso c’è un’esperienza che tutti conosciamo, ma senza mai essere andati sulla Luna. Ho cercato le modalità più adatte per creare una relazione. Credo che in Neil ci fossero molte qualità, si immedesimava nel suo lavoro per gestire sentimenti che altrimenti non riusciva a governare. [Narrare la sua vicenda] è un modo per mettersi nei panni di qualcun altro, creando però una storia molto personale: volevamo realizzare un film che fosse quasi un documentario familiare.
Gosling, al suo secondo film con il cineasta dopo La La Land, parla del suo rapporto con lui e della genesi del progetto.
Damien è per metà canadese, e questo aiuta. Aveva bisogno di fare un musical prima di questo, ma li aveva in testa entrambi contemporaneamente. Tutti e due si prestano per il grande schermo. Credo che Damien abbia un istinto molto forte per ciò che il pubblico vuole vedere, e desidera unire queste visioni tramite il cinema. Il suo obiettivo è di trasferire il suo amore per il cinema al pubblico, è una qualità speciale che possiede.
Ma considera Neil Armstrong come un eroe americano? L’attore non è di questa opinione:
Credo che sia un successo dell’umanità, e abbiamo voluto vedere il film in questo modo. Non credo che [Neil] si vedesse come un eroe americano… parlando con la sua famiglia, non è emerso niente del genere.
Infine, un commento di Chazelle sul coinvolgimento di Steven Spielberg, co-produttore con la Dreamworks:
Spielberg è entrato nel film perché stava collaborando con Singer per The Post, quindi è diventato co-produttore. Sono cresciuto con i suoi film, abbiamo parlato molto di cinema… è stato un dono avere questa opportunità. È saltato a bordo come finanziatore, ma gli abbiamo anche chiesto aiuto nei momenti di bisogno. È una persona eccezionale da avere accanto.
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