Da William A. Wellman a Bradley Cooper, passando per Frank Pierson: il soggetto di A Star Is Born torna ciclicamente sul panorama hollywoodiano, sempre ansioso di esplorare le meccaniche del divismo nell’industria culturale. Il fatto che questa terza versione sia diretta da Cooper – al suo esordio registico – aggiunge una nota curiosamente paradossale, dato che lui stesso è una grande celebrità, come i personaggi che mette in scena, e quindi conosce bene le dinamiche della fama. Scrivendo il film con William Fetters ed Eric Roth, l’attore si impegna in prima persona su più livelli, prestando il volto al co-protagonista Jackson Maine e componendo persino alcuni brani, scritti insieme a Lady Gaga e registrati dal vivo, senza il playback: ne risulta un senso di naturalezza che appare molto adeguato rispetto alle intenzioni originali dell’attore, intento a contaminare musical e melodramma su scala contemporanea.
La trama ricalca in gran parte quella del secondo remake, con Barbra Streisand e Kris Kristofferson: Jackson è un cantante country di successo che, dopo un concerto, si rifugia in un locale dove si esibisce Ally, aspirante cantautrice di grande talento. I due s’innamorano, e Ally comincia a farsi conoscere grazie ai suoi duetti con Jackson, ma ben presto le esigenze dello show business rovinano questo rapporto idilliaco, peggiorando al contempo la dipendenza di Jackson da alcolici e pillole. L’eterno cortocircuito fra arte e vita, insomma, è al centro della narrazione: il protagonista è convinto che la musica debba esprimere un’interiorità sincera, perché «tutti hanno talento, ma pochi hanno qualcosa da dire», quindi bisogna restare fedeli alla propria natura per fare arte in modo onesto; Ally, però, ha un potenziale commerciale di livello superiore, e cade nel tritacarne dell’industria discografica, che pretende da lei una maggiore disponibilità verso i gusti del pubblico. Lo scontro si combatte proprio su questo terreno, ed è inevitabile, poiché l’arte della coppia ha anche finalità commerciali, quindi non può prescindere dal giogo dei produttori.
Il conflitto di A Star Is Born si sviluppa attorno a questo tema, mettendo in scena gli sforzi di Jackson e Ally per tenere insieme la loro relazione davanti alle intemperie. Il copione ha qualche lacuna, soprattutto quando affretta certi sviluppi narrativi per arrivare subito al punto, ma la regia di Cooper possiede una qualità intimista che basta a tenere insieme la storia: la camera a mano suggerisce l’instabilità dei legami affettivi e la volubilità della fama, mentre gli insistenti primi piani su Lady Gaga valorizzano la naturalezza della sua performance. La popstar è brava a lasciar trasparire il lato più fragile di Ally, la sua oscillazione tra coinvolgimento e ritrosia, anche perché la caratterizzazione del personaggio rievoca delle insicurezze piuttosto comuni (e che forse lei stessa ha provato sulla sua pelle).
I segmenti canori, peraltro, non sono mai gratuiti: i testi e le atmosfere delle canzoni rispecchiano sempre lo stato d’animo dominante, oppure sottolineano il momento in cui si trovano Jackson e Ally nel loro rapporto. Come spesso accade con gli artisti, entrambi sembrano incapaci di esprimere chiaramente le emozioni al di fuori delle loro opere, quindi i brani sono fondamentali per innescare un dialogo fra i rispettivi sentimenti, raggiungendo l’apice nei duetti musicali. Cooper, dal canto suo, ha anche il merito di offrire il ritratto di un uomo tormentato, vittima dei suoi spettri, e lavora moltissimo sulla voce e sul corpo per restituire l’intima conflittualità del cantante. Ciò che ne consegue è un film romantico e dolente, impostato sul ritmo malinconico di una ballata country.
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