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THE DOC(MANHATTAN) IS IN – MACGYVER INVENTA COSE

Pubblicato il 25 luglio 2018 di DocManhattan

Dobbiamo tutti qualcosa a MacGyver. Un agente segreto che si cavava d’impiccio, nella TV degli anni 80, senza usare le armi e senza costruire dei carri armati partendo da un carrello del supermercato, come faceva l’A-Team con tre bulloni e una botta di fiamma ossidrica. Lui, Angus MacGyver, usava l’ingegno e il suo essere un super-boy scout della tivvù, un Leonardo Da Vinci con il look da cantante pop/country. Gli davi del dentifricio, ti creava un lanciarazzi col fluoro e il tubetto. “Chi diavolo sei, MacGyver?” sarebbe diventato per lustri il tormentone appioppato a qualsiasi amico dotato di inventiva e manualità. Ma nessuno era mai davvero come MacGyver, l’eroe non violento voluto da Fonzie e chiamato di proposito come una certa catena di fast food…

Siamo nel 1985. La sentite Into the groove di Madonna in sottofondo? Ecco. John Rich è un produttore che in carriera ha inanellato serie di successo come Gli Eroi di Hogan e La Famiglia Brady. È al lavoro su una nuova sitcom, Mr. Sunshine (che andrà molto male), quando incontra Henry Winkler, l’Arthur “Fonzie” Fonzarelli di Happy Days, che ha appena appeso al chiodo il suo giubbotto di pelle e i suoi pollici dopo undici anni trascorsi nella Milwaukee degli anni ’50. Insieme al produttore e sceneggiatore dal nome chiaramente inventato Lee David Zlotoff, Rich e Fonzie mettono in cantiere una nuova serie d’azione. Una serie su un eroe senza macchia ma con tanto genio, un action hero dal volto umano. Serve loro l’attore giusto per la parte, e lo trovano in Richard Dean Anderson, dopo averlo visto in crociera su Love Boat, impegnato ad ascoltare le cazzate di Gopher. Anderson è perfetto: ha un volto da buono, i capelli anni 80 di George Michael ed è abbastanza atletico da girare da solo buona parte degli stunt. Almeno per le prime stagioni: dopo qualche anno, sarà talmente scassato da salti e tuffi da dire «Oh, ma anche basta, grazie. Vi voglio bene.»

Lee David Zlotoff, in quanto esperto di nomi finti, pensa di chiamare il personaggio “Guy”. Ma Tizio l’eroe inventore è un tantinello troppo generico. Perché non aggiungere un Mac, come quel noto brand del panino che fa succedere le cose? Suona bene, gli dicono Rich e Winkler. Ma “McGuy” comunque fa schifo, e ci si accorda alla fine per un MacGyver. La serie parte, anzi decolla, amatissima dai fan… che a un certo punto ne prendono il controllo. In più di un senso. Non solo perché dopo qualche stagione gli autori hanno finito le idee, tanto che Rich offre dei premi in denaro a chiunque se ne esca con qualche situazione assurda da cui il protagonista possa uscire ricorrendo alla chimica, alla fisica, a un coltellino svizzero, a un po’ di nastro isolante e a una fantasia da calciatore rigorista di De Gregori. Ma anche perché i fan non vogliono assolutamente che MacGyver scop… viva una storia d’amore. Mai.

Fa un po’ strano, nel mondo degli eroi televisivi di metà anni ’80/primi anni ’90, tutti limonatori seriali emuli del grande limonatore interplanetario in missione nello spazio profondo, James Tiberius Kirk, ma non ci sono mai avventure sentimentali per MacGyver, fra un triciclo trasformato in satellite e un’eruzione vulcanica fermata con delle bolle di sapone e un fischietto. Era un bell’uomo destinato a restare single, PER SEMPRE, Angus MacGyver, perché quando il network ha provato a introdurre un possibile love interest per lui, il pubblico nelle proiezioni test ha reagito malissimo. Solo non facciamo battute sulla spiccata attitudine alla manualità di questo pover’uomo, santo cielo.

Sette anni dopo, inanellati 139 episodi, Angus (il suo nome di battesimo si scopre solo a un certo punto, visto che tutti lo chiamano sempre e solo per cognome, come Fantozzi) saluta tutti. La sua casa galleggiante viene venduta nel mondo reale per poche migliaia di dollari, la TV resta orfana del suo grande inventore cuore solitario. Ma siccome il mondo ne vuole ancora e fa pressione sulla CBS, c’è tempo comunque per due film televisivi, Il tesoro di Atlantide e Il giorno del giudizio, girati in Europa nel ’94 e co-prodotti dallo stesso Anderson. Anni dopo, mentre Anderson si dedica agli egiziani figli delle stelle nelle serie TV di Stargate, si continua a parlare a lungo di un film di MacGyver, ma non se ne fa nulla. Tutto quel che salta fuori sono degli spot per la Mercedes e poi, solo di recente, un reboot.

Nel 2016 arriva infatti questo rifacimento dell’originale, con Havok degli X-Men (Lucas Till) nei panni del protagonista. Dire che il nuovo MacGyver fa rimpiangere l’originale è un eufemismone: in quanto a carisma, il vecchio e il nuovo MacGyver giocano in campionati diversi su pianeti diversi, parte di universi diversi, probabilmente appartenenti a piani dimensionali e linee temporali diversi, ecco.

Ci manca, MacGyver. E non è la solita nostalgia spicciola da social-cosi. Ci manca la sua praticità, il risolvere i problemi difficili in modi semplici, e viceversa. Il suo essere genio tranquillo, con una soluzione sempre pronta, in tasca, nella testa. Ci vorrebbe nella vita di tutti i giorni, un MacGyver portatile, al posto dei videotutorial su YouTube che saltano sempre e solo negli unici passaggi davvero utili. “MecGà? Mi si è rotto lo scaldabagno”, “Hai provato a spargerci il mangime delle tartarughe e a farlo detonare con un raudo?”. E là, problema risolto.

Tanto che a un certo punto, “MacGyver” diventa un verbo. Non solo nello slang urbano e di Internet, proprio sui dizionari. Fare il MacGyver, MacGyverare: “Costruire o riparare (un oggetto) in modo improvvisato o creativo, utilizzando qualunque cosa sia a disposizione”. Torna, Angus, e MacGyverizzaci il mondo, per piacere. Ne abbiamo tanto, tanto bisogno.

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