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Ant-Man and the Wasp, un sequel che rilancia e raddoppia

Pubblicato il 19 luglio 2018 di Lorenzo Pedrazzi

Il Marvel Cinematic Universe non potrà mai eguagliare la vastità della sua controparte a fumetti, eppure l’evoluzione di questo universo cinematografico è sempre più capillare, come dimostra l’uscita di Ant-Man and the Wasp dopo Avengers: Infinity War. Se è vero che i registri dei singoli film possono variare, altrettanto mutevole è la “portata” delle loro trame, che talvolta procedono in parallelo ai grandi eventi, li guardano da lontano o li ignorano del tutto: la nuova avventura di Scott Lang (Paul Rudd) e Hope Van Dyne (Evangeline Lilly) si svolge in un arco temporale molto serrato, collocato fra Civil War e l’arrivo di Thanos, quindi può permettersi di raccontare la propria storia senza influenze esterne… almeno fino a un certo punto.

Ant-Man and the Wasp, in effetti, consente ai Marvel Studios di rifiatare dopo la sbornia di Infinity War, garantendo quel tocco di leggerezza che distrae dalle azioni del Folle Titano e dalla sconfitta dei Vendicatori. Inoltre, mette in scena le conseguenze della Guerra Civile sui singoli individui, mostrando diverse gradazioni di responsabilità: al contrario degli altri eroi (Occhio di Falco escluso), Scott ha una famiglia cui pensare, quindi patteggia con l’FBI e ottiene gli arresti domiciliari dopo aver affiancato Capitan America nella sua ribellione contro gli Accordi di Sokovia. Da questo dettaglio è evidente come il Marvel Cinematic Universe riesca quasi sempre a rispettare una solida coerenza interna, dove ogni evento – e ogni film – è la diretta conseguenza di quello precedente. Le accuse contro Ant-Man, però, si sono estese anche a Hank Pym (Michael Douglas), costretto a darsi alla macchia insieme a Hope, mentre Scott sconta la sua pena tra le mura di casa e intrattiene la piccola Cassie con giochi artigianali di grande fantasia (la scena iniziale mostra una creatività ludica degna di Michel Gondry). Quando però Janet Van Dyne (Michelle Pfeiffer) invia un messaggio dal Regno Quantico, Hank e Hope sono costretti a chiedere l’aiuto di Scott per ritrovarla, innescando una battaglia con una spettrale supervillain (Hannah John-Kamen) che dà la caccia a Janet per motivi personali.

Al di là dell’intelligente gender-swap, la scelta di Ghost come antagonista è originale, poiché si tratta di un personaggio poco noto e con poteri radicalmente diversi rispetto ad Ant-Man e Wasp: in tal modo, il regista Peyton Reed può sfuggire a un topos che il Marvel Cinematic Universe ha reiterato molte volte, secondo cui il villain dev’essere una copia malvagia dell’eroe (con gli stessi poteri, insomma). Ghost si carica sulle spalle il lato più drammatico del film, differenziandosi nettamente dallo schematismo del primo Ant-Man, dove Yellowjacket era un cattivo bidimensionale; stavolta, invece, la sceneggiatura ci offre un’antagonista con un passato alle spalle, utile per darle un minimo di caratterizzazione psicologica, seppur elementare: Ghost è prima di tutto una vittima incolpevole, come accade spesso ai villain meno manichei. Ant-Man and the Wasp resta una commedia d’azione, ma riesce a bilanciare piuttosto bene i cambiamenti di tono, alternando comicità, spettacolo e pause emotive, dove il meglio arriva dal tenero rapporto fra Scott e Cassie. Purtroppo il copione arranca un po’ di fronte a certi snodi narrativi, poiché approfitta del contesto sci-fi per semplificarsi la vita e non dare spiegazioni, nascondendosi dietro a paroloni pseudo-scientifici che suonano come forzature del racconto (soprattutto per quanto riguardo il Regno Quantico). Nulla di nuovo, intendiamoci: è un tratto piuttosto comune sia nei blockbuster sia nei fumetti supereroistici, ma la fragilità di alcuni punti è fin troppo palese.

La godibilità del film, però, ne esce intatta. Merito anche delle scene d’azione, capaci di sfruttare la CGI in modo creativo per alterare la dimensioni degli oggetti e dei personaggi, giocando continuamente sulle sproporzioni fra i corpi. Da questo punto di vista, il franchise di Ant-Man è il più fantasioso del MCU, alla pari di Doctor Strange: entrambi cercano soluzioni estetiche alternative, figlie della vecchia controcultura e di artisti come Steve Ditko e Jack Kirby, laddove immaginano dimensioni parallele che trascendono i limiti della realtà. Il Reame Quantico si conferma molto suggestivo, ed è forse l’unica circostanza in cui il 3D – se sarete fra i pochi a vederlo in questa versione – diviene un valore aggiunto. Ant-Man and the Wasp è quindi un valido prodotto d’intrattenimento, nonché un buon esempio di cinecomic “medio” targato Marvel Studios, senza pretese epocali né grossi rischi. Al contempo, però, riesce anche a proporre qualcosa di inedito rispetto agli altri capitoli del MCU, nell’idea di un’eredità femminile che si ripercuote su almeno tre personaggi (Hope, Cassie e Ghost), con effetti diversi a seconda delle circostanze. Il tutto si risolve in un divertente passo a due fra Ant-Man e Wasp, partner in battaglia e potenzialmente nella vita, che trovano nelle imprese supereroistiche la miglior terapia di coppia: a volte, lavorare insieme giova al rapporto.

Occhio alle scene durante o dopo i titoli di coda, che mutano improvvisamente il clima della situazione, ma senza tradire lo spirito del franchise.

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