La Storia dietro un Frame: I Soliti Sospetti e le arie di Benicio Del Toro

La Storia dietro un Frame: I Soliti Sospetti e le arie di Benicio Del Toro

Di Filippo Magnifico

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I set dei film sono pieni di aneddoti più o meno interessanti. Alcuni sono noti, altri meno. Partendo da un frame, da una semplice immagine, si possono scoprire le storie più particolari. Questo perché dietro il semplice fotogramma di una pellicola si può nascondere un mondo. È questo il caso dei Soliti Sospetti e delle arie di Benicio Del Toro.

Ci sono momenti nella vita di ogni artista in cui si raggiungono picchi di assoluta perfezione. Se prendiamo come esempio Kevin Spacey e Bryan Singer, il picco della loro carriera coincide. Se guardiamo invece i recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto l’attore è il regista sembra che coincida anche il punto più basso, ma questa è un’altra storia. Soffermiamoci, quindi, sul film che ha unito questi due nomi, lanciandoli con una catapulta nel patinato mondo di Hollywood: I Soliti Sospetti.

Due Oscar (Migliore Attore non Protagonista a Kevin Spacey, Migliore Sceneggiatura Originale a Christopher McQuarrie, anche lui all’apice della sua ispirazione), una serie di riconoscimenti più che graditi raccolti qua e là ad eventi come BAFTA e Independent Spirit Awards e una domanda che ancora oggi ruota in maniera ossessiva nella nostra testa, anche dopo aver visto e rivisto il film: Chi è Keyser Söze?

In realtà lo sappiamo tutti, ma il colpo di scena finale continua a lasciarci incollati allo schermo ogni volta. Quel momento ha rappresentato un punto di svolta per il mondo della settima arte, a tal punto che il compianto Roger Ebert era arrivato a parlare di “Sindrome di Keyser Söze” per evidenziare una certa tendenza degli sceneggiatori a voler inserire il colpo di scena a tutti costi dopo l’enorme successo del film. Del resto Hollywood è così, se qualcosa funziona cerca di riproporcela in ogni variante possibile, senza mai eguagliare l’originale, finché non se ne può più.

Ma anche questa è un’altra storia, noi siamo qui per parlare de I Soliti Sospetti, lasciando perdere i recenti fatti di cronaca e la solita tendenza hollywoodiana di saturare un’offerta fino allo sfinimento. Quindi, ricapitolando: com’è il film? È grandioso. Punto.
E non “grandioso” in senso contemporaneo, viviamo in un periodo dove basta discostarsi quel tanto che basta dalla mediocrità e si parla già di capolavoro. È grandioso sotto ogni aspetto: regia, sceneggiatura e soprattutto cast. Oltre al già citato Kevin Spacey, abbiamo nomi di un certo livello come Benicio Del Toro, Gabriel Byrne, Chazz Palminteri e Pete Postlethwaite.

E sono quasi tutti presenti in una scena ben precisa, talmente iconica da finire sul poster del film: il confronto all’americana, dove i (soliti) sospettati si trovano di fronte ad un finto specchio e devono recitare una frase ben precisa: “Dammi quelle chiavi, stronzo succhiacazzi“. I primi due seguono il copione, poi qualcosa cambia e, non si capisce bene perché, tutti cominciano a ridere, come se fossero degli studenti indisciplinati in punizione.

Immaginiamo di guardare la scena proprio in questo momento. Bene, è arrivato il momento di premere il tasto pausa, perché è proprio su questo frame che vogliamo soffermarci oggi.

La sensazione che ci offre questo momento è molto chiaro. Loro sono dei veri duri, non hanno paura delle forze dell’ordine, per loro stare di fronte a quel vetro è come trovarsi in un locale qualunque. Non proprio. In realtà Bryan Singer aveva immaginato quella scena particolarmente seria ma non è mai stato possibile girarla secondo il copione.
Di chi è stata la colpa? Di quel birichino di un Benicio Del Toro, che, chiuso in una stanza con i suoi colleghi, non era riuscito a trattenersi e aveva infestato l’aria con i suoi gas intestinali.
Sembra una barzelletta, è vero, ma è successo sul serio ed è stato Gabriel Byrne a confermarlo durante un’intervista per il Guardian:

Abbiamo girato quella scena dopo pranzo e c’era un’atmosfera particolarmente allegra. Bryan continuava a perdere la pazienza, si avvicinava come un maestro severo e noi cercavamo di rimanere seri. Ma i peti di Benicio rompevano la tensione, come fanno i peti del resto. E Bryan se l’è giocata bene, ha continuato a registrare e ha lasciato tutto nel film. Quello che funziona di quel momento è il senso di compagnia, di un passato condiviso che si percepisce tra i personaggi.

Ed è proprio così. Sfruttare l’intuizione del momento, non ostinarsi a voler girare la scena esattamente come era scritta nel copione, ha giovato al film, donando un’ulteriore strato ad una storia che, tra misteri vari e domande ossessive, parla anche di rapporti umani.

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Anche oggi siamo giunti alla fine del nostro appuntamento, anche oggi abbiamo scoperto che basta soffermarsi su di un singolo frammento di pellicola per scoprire un mondo. Presto vi sveleremo un nuovo frame, una nuova storia.

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