THE DOC(MANHATTAN) IS IN – Cobra Kai: 5 ragioni per cui è una gran bella serie*

THE DOC(MANHATTAN) IS IN – Cobra Kai: 5 ragioni per cui è una gran bella serie*

Di DocManhattan

C’era della paura in questo dojo? Sì, sensei! C’era soprattutto il comprensibile timore, viste le premesse (Daniel e Johnny di Karate Kid ancora litigano come ragazzini, trentaquattro anni dopo quel torneo chiuso da un ridicolo calcio della gru in faccia), che questo Cobra Kai fosse una roba senza senso giustificata solo dal fatto che grazie alla nostalgia, di questi tempi, ti rivendono qualsiasi cosa abbia avuto anche solo lontanamente a che fare con gli anni 80. E invece. Invece c’è che questa serie in 10 episodi prodotta da YouTube Red è divertente e per nulla scema come temevo. Anzi, me la sono decisamente goduta, per almeno cinque ragioni diverse. Le abbiamo? Sì, sens…! Ok, ok, la pianto.

1. CALCI VOLANTI ALLA NOSTALGIA
Certo, Cobra Kai ha come suo target naturale chi conosce il primo film. Basta quello, anche se vengono citati di passaggio anche eventi dei vari sequel scamuffi che facciamo tutti insieme finta, tenendoci per mano, che non siano mai esistiti, come la trasferta a Okinawa di Karate Kid II – La storia continua. E per chi non avesse visto manco l’originale? Ci sono i flashback a riempire i buchi, anche se chiaramente non è la stessa cosa. L’aspetto più divertente di tutta la faccenda è l’ironia con cui vengono ripresi alcuni elementi classici dell’originale, dal lavaggio di vetri ai costumi per il ballo in maschera. Una bonaria presa per il culo che è sì una strizzata d’occhio allo spettatore, certo, ma è un di più. Per quanto possa sembrare paradossale per una produzione che sembrava puntare tutto sull’ubiqua nostalgia anni 80, Cobra Kai sta al film dell’84 e a tutto il discorso nostalgia come un Creed può stare al primo Rocky. Anche se il termine di paragone più calzante che mi rimbalzava in testa durante la visione era Better Call Saul. Quel tipo di ironia un po’ amara, a tratti malinconica? La storia di un tizio che ci prova a fare le cose per bene, anche se non sempre ci riesce? Ecco. Perché questo non è il vecchio Johnny Lawrence, e il suo non è certamente il vecchio Cobra Kai, anche se sul muro c’è il cobra gigante che ti dice di colpire per primo, colpire duro e non avere pietà. Come Marco Ferradini.

2. CAMBIO DI PROSPETTIVA
Daniel LaRusso era un ragazzino sfigato venuto dal New Jersey, che veniva bullizzato a scuola, malmenato e irriso dai duri del Cobra Kai, giusto? Qui avviene il contrario. Questo Cobra Kai è il dojo frequentato dai perdenti per imparare il karate e difendersi dai bulli della scuola, che si fingono bravi ragazzi. In un intreccio familiare a più livelli, tra figli e pupilli assortiti, le strade di Daniel (Ralph Macchio) e di Johnny (William Zabka) tornano a incrociarsi. E il nuovo Karate Kid, o perlomeno il principale (ce n’è più di uno) è Miguel, un perdente di origini ecuadoriane che diventa la stella del Cobra Kai, della scuola, del suo mondo. Verrà corrotto dalle forze del male, durante il suo fantozziano riscatto partito in sala mensa? E c’è poi davvero del male in questo dojo? Si scopre solo alla fine, sensei! Il cambio di prospettiva è totale e non risparmia Daniel-san. Anzi. L’ex figlio del popolo è ora un magheggione da country club per ricchi e (ci arriviamo subito) un vero, genuino, insopportabile stronzo.

3 JOHNNY LAWRENCE, IL MAD MAX DI RESEDA
Perché da principio quest’uomo a cui la vita ha detto proprio NO, un no fermo, che sbarca il lunario ripulendo le grondaie dai topi e guida una vecchia Pontiac sverniciata con un autoradio a cassette, santo cielo, ci prova a badare agli affari propri. Ma come un Max Rockatansky della Valley, gli finiscono sotto il naso i casini, nella fattispecie di un giovanotto bullizzato da aiutare. Si risveglia così nella sua testa, annebbiata dai fumi di ettolitri di birra, la voglia di riaprire il dojo, di rendere di nuovo grande il nome del Cobra Kai. Oggi praticamente una controfigura di Roddy Piper, pace all’anima sua masticatrice di chewing-gum, Lawrence è perseguitato dagli insuccessi rimediati da giovane, ma soprattutto da quel cacchio di LaRusso e dalle sue pubblicità. Come insegnante non è né Miyagi né il malvagio Kreese, ma una strana via di mezzo. Ed è chiaramente lui non solo il protagonista della serie, ma quello per cui fare il tifo. Che è quello che Cobra Kai, come serie, vuole: far tifare finalmente tutti per il Cobra Kai, trasformando in realtà il sogno di Barney Stinson, il più grande supporter di Johnny e primo alfiere della scuola di pensiero “il vero bullo di Karate Kid era Daniel LaRusso”.

E oggi, bullo, LaRusso lo è di certo. Per tenere viva la fiamma della rivalità tra i due e portare la cosa fino al finale, Cobra Kai fa di tutto per dimostrare quanto stronzo sia Daniel. Uno che se ne esce con un roundhouse kick quando non è in grado di sostenere una conversazione con un concorrente. Capace di vendette feroci, fregandosene dei poveri cristi che ci vanno di mezzo. Un puerile bamboccione, nonostante le rughe che ne increspano il viso da perenne giovane, sotto quella tintura per capelli da presentatore di un quiz sulla RAI. Il Maestro Miyagi gli avrebbe tirato le orecchie con le bacchette e fatto dipingere staccionate per chilometri e chilometri. Come minimo.

4. NON DURA VENTI MILIONI DI ORE
Solo dieci puntate, da una ventina di minuti l’una. Il giusto. Già che siamo in argomento: dove si vede? Su YouTube. Le prime due puntate sono gratis, le altre costano 2,49 euro l’una. Occhio, non ci sono i sottotitoli in italiano. Potete affidarvi a quelli in inglese, o se preferite farvi due risate con la traduzione automatica di YouTube e il suo rapporto di odio/odio per i false friend.

5. UN NUOVO MODO DI GUARDARE A UN VECCHIO FRANCHISE…
…già spremuto fino all’osso. Sì, come per Creed, appunto. Perché di Karate Kid ce n’erano stati già 5, e pensavamo tutti fossero più che sufficienti. Soprattutto dopo quella roba apocrifa con il kung fu. Cobra Kai è però una creatura intelligente, una bestiola semplice che non azzarda nulla di complicato, ma fa bene quello che deve. Cita l’originale come cita tanto altro (da Deadpool a una certa madre dei draghi…), in quanto figlio consapevole dei tempi postmoderni che l’hanno generato. Ma senza mai esagerare. Diverte, con il suo mix di calci girati, teen angst, sentimenti, temi complessi e battute sboccate, come una superfiction televisiva. Però fatta bene. Non ho ancora deciso se vorrei vederne un’altra stagione, dopo quello che succede nel finale, ma questa mi è piaciuta sorprendentemente tanto. Con un paio di momenti di fomento totalmente inattesi, quando i buoni prendono a calci in culo i cattivi. I buoni del Cobra Kai? Ma tu pensa.

Ah, Daniel-san? Il calcio della gru, di cui ti sei vantato per 34 anni? Non era regolare. Siamo tutti Barney Stinson, siamo tutti Cobra Kai.

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