Seconda Occasione: al sexy-party di Halloween con Catwoman (2004)

Seconda Occasione: al sexy-party di Halloween con Catwoman (2004)

Di Nanni Cobretti

LEGGI ANCHE: Seconda Occasione: quanti bei colori in Crimson Peak (2015)

L’ACCUSA: qualcuno dice che è il peggior film di supereroi di tutti i tempi. Diciamo che quando la tua stessa protagonista ce l’ha talmente sul gozzo che decide di presenziare personalmente ai Razzies per ringraziare la Warner di averla infilata in un “piece of shit, god-awful movie” (“orribile film di merda”) non fa una grande impressione.

SVOLGIMENTO
Il primo cinecomic con protagonista femminile della storia è Wonder Wo Sheena – La regina della giungla, agosto 1984, seguito da Supergirl, novembre 1984. Entrambe produzioni ambiziosissime, roba da Top 5 dei film più costosi di quell’anno – per dire, Supergirl costò un buon 20% in più di Indiana Jones e il tempio maledetto. Entrambi ovviamente diretti da uomini perché all’epoca le registe donne non erano ancora state inventate (credo). Entrambi flop megagalattici, che bruciarono abbastanza. Non vedo l’ora di parlarne anche qui, ma affrontiamo un film alla volta.
L’idea di regalare un film da protagonista a Catwoman girava fin da Batman – Il ritorno (1992), e prevedeva inizialmente Michelle Pfeiffer nel ruolo che le aveva dato la gloria eterna, ma all’epoca gli spin-off erano tendenzialmente un’idea balzana che si metteva in pratica in casi davvero eccezionali. Nel ’92 le registe donne erano state inventate, son sicuro, c’era ad esempio Kathryn Bigelow per dirne una, ma in quel periodo era occupata a prendere per il culo la filosofia macho-zen dei surfisti californiani infilandoli in un presunto action che in realtà è una straziante love story omoerotica che contemporaneamente contiene quello che ancora oggi è il miglior inseguimento a piedi mai girato. Mi riferisco ovviamente a quel capolavoro di Point Break. Insomma, non se ne fa niente.
Fast-forward: in mezzo c’è un altro tentativo a vuoto con Ashley Judd, ma alla fine si sceglie di andare avanti con Halle Berry, già Tempesta degli X-Men, fresca di un Oscar per Monster’s Ball, ma ancora più fresca del video della cover di Behind Blue Eyes dei Limp Bizkit (un presagio come pochi).

È il 2004: siamo in quella fase di mezzo che sta tra la nascita dei cinecomic come vero e proprio filone redditizio – grazie a Blade, appunto gli X-Men e gli Spiderman di Sam Raimi – e il primo film del Marvel Universe, che è l’Iron Man del 2008.
In questa fase di mezzo la Warner – ancora ferma ai megaflop di Superman IV (1987) e Batman & Robin (1997) – pare voler affidare la rivalutazione del proprio catalogo a un paio di promettenti registi europei: l’inglese Christopher Nolan, lanciato da Memento e Insomnia, e il francese “Pitof” (da non confondere con l’italiano “Pif“), lanciato da una tamarrata clamorosa intitolata Vidocq e un background come supervisore degli effetti speciali per i film di Jean-Pierre Jeunet e Luc Besson.
E mentre il primo riscrive Batman con calma e ne tira fuori una trilogia che cambierà l’intera reputazione dei fumetti al cinema, il secondo si tuffa su Catwoman come un 14enne in una stanza piena di videogiochi e cataloghi di biancheria intima.
Catwoman, ci spiegano i titoli di testa, è diretta emanazione di Bastet, famosa dea egiziana protettrice dei gatti e, per qualche ragione, delle malattie contagiose.
Halle Berry non interpreta Selina Kyle, il ruolo portato al cinema da Michelle Pfeiffer, bensì Patience Philips, timida, impacciata e “bruttina” graphic designer per una multinazionale di cosmetici. Non è dato sapere come abbia passato il colloquio una che chiaramente non usa il tipo di prodotti di cui andrà a curare la comunicazione visiva, ma almeno è chiaro come mai non va d’accordo col suo capo.
Segue l’origin story che tutti conosciamo, con lei che viene morsa da un gatto radioattivo ecc… Ok non è vero. Il colpo di genio, per il quale vi potete immaginare facile i tre sceneggiatori maschi che si battono il cinque all’unisono, è la trovata per cui i cattivi sono gli stessi boss della multinazionale di cosmetici, colpevoli di avere inventato una crema magica che ringiovanisce ma che ti scioglie la fazza quando smetti di usarla (molto lungimirante come strategia aziendale, devo dire). Patience lo scopre origliando una conversazione, ma viene anche vista, inseguita e ammazzata affogata. Tranne che un gatto radioattiv egiziano la trova e, con i poteri conferitigli dalla dea Bastet protettrice dei piccoli felini domestici, in un primissimo piano in CGI inguardabile, le alita in bocca e la resuscita.
Prima si scherzava, ma in realtà questa versione di Catwoman firmata Pitof deve molto all’Uomo Ragno come mitologia. E se anche la Selina Kyle di Michelle Pfeiffer aveva simili origini sovrannaturali, che però si manifestavano sostanzialmente in una improvvisa estrema confidenza in se stessa e nelle proverbiali nove vite, qui ci si spinge oltre: Patience diventa un letterale supereroe con forza e agilità sovrannaturali “da gatto”, e una doppia personalità incontrollabile con tanto di temporanee amnesie, stile Hulk.
Il tocco migliore è il momento del costume, estratto quasi pronto da una scatola etichettata “emergenza appuntamento”: il risultato è la risposta alla domanda “come si vestirebbe Beyoncé se le chiedessimo di fare un video sexy per la colonna sonora?”.
Ma a questo punto dei procedimenti si è già capito che aria tira: Pitof è di quella scuola francese che, come tutta la scuderia Besson, si innamora del virtuosismo visivo ed è contentissimo di seminare lo script di scene semplicistiche ai confini con l’infantile affinché ogni concetto passi senza sforzo anche agli ubriachi appena svegli che hanno battuto la testa contro un’incudine.
Non c’è niente di male nella storia di una ragazza timida improvvisamente infusa di sicurezza in se stessa e nel proprio appeal sessuale: il problema è se tutto ciò viene dipinto unicamente in due scene stupidissime di rivalsa contro il proprio capo e i vicini di casa metallari, e tutto il resto è pura spettacolarizzazione dei nuovi acquisiti movimenti felini e dell’outfit da sexy-festa di Halloween senza uno straccio di mezzo approfondimento o riflessione sul cambiamento, come faceva ad esempio lo Spider-Man di Raimi. Qui il messaggio è solo “pseudo-bruttina diventa figa megagalattica”, e il target è sostanzialmente voyeuristico. L’unica sottigliezza che ho apprezzato è il fatto che Patience in versione regular non indossi gli occhiali: sarebbe stato un facilissimo classicone appiopparle un modello orribile per mortificarne ulteriormente l’aspetto, per poi giocarsi la scoperta dei nuovi superpoteri in una scena in cui se li toglie lentamente stupita di scoprire che di colpo ci vede bene anche senza.

Dal canto suo Pitof si dimostra da subito un tamarro incontrollabile che non vedeva l’ora di prendere le maestranze della Warner e dire “ok ora la cinepresa parte da una nuvola, va verso il palazzo, schiva il lampione, SWOOSH! SWOOSH! fa una capriola e una giravolta entra dalla finestra, si fa un giro dentro la lavatrice (lavaggio a 40 per capi delicati) e dopo un loop de loop inquadra Halle Berry che dorme” “Ma perch–” “PERCHÉ SÌ”.
Per dire: io onestamente non credevo fosse possibile girare una scena più brutta della partita di baseball tra vampiri in Twilight con sotto Supermassive Blackhole dei Muse, ma Pitof vince con la sfida a basket tra Halle Berry e Benjamin Bratt con sotto Scandalous delle Mis-Teeq. E quando arriva la (non) scena di sesso, per non saper né leggere né scrivere, il nostro va direttamente in modalità “pubblicità dei profumi”.
Poi chiaro che lo script non lo aiuta nel momento in cui a quanto pare includeva istruzioni tipo “e allora la saggia e misteriosa Ophelia, per dimostrare a Patience che è stata davvero contagiata dai poteri di un gatto, le tira a sorpresa un piccolo gomitolo che la nostra protagonista afferra istintivamente e si spalma voluttuosamente in fazza”.
Nel cast, si salva solo Halle Berry. Si riconosce un professionista da quanto riesce a fare buon viso a cattivo gioco, e Halle è in piena modalità “ok, temo che il film sia una cagata, ma è la mia chance da superstar e se dò il massimo magari la risolvo”. Purtroppo non funziona, la sua performance finisce inevitabilmente affogata dal contesto e da comprimari che recitano come in un cartone animato (Lambert Wilson per primo), ma la stima per lei è alta.
Caso a parte per Sharon Stone: già semi-dimenticata 12 anni dopo Basic Instinct, accetta il ruolo ingrato di un’ex-modella che al compimento dei 40 perde ogni contratto e medita vendetta, e mischia classe ed eleganza a visibile risentimento. Ma del resto come si fa? È il tipo di film per cui a un certo punto si inventano che la crema di bellezza magica ti rende anche quasi invulnerabile soltanto per rendere il combattimento finale più avvincente.
Comunque: a fronte di un budget di $100 milioni, il film viene buttato fuori lo stesso weekend di The Bourne Supremacy ma finisce pure sotto alla seconda settimana di permanenza di I, Robot. A fine corsa, in tutto il mondo, raggiunge gli 80 milioni: la mia analisi è che di gente disposta a sorbirsi un’ora e tre quarti di qualsiasi cosa pur di vedere Halle Berry in versione velina sadomaso ce n’è. Rotten Tomatoes però sta sul 9%.

VERDETTO: nessuno l’ha riassunta meglio di Roger Ebert, che pertanto cito: “Immagino che Pitof, all’anagrafe, abbia due nomi, come ognuno di noi. Per il suo prossimo film, gli consiglio di usare quell’altro”.
E volete sapere la cosa buffa? Pitof dopo Catwoman non ha girato più niente, tranne un film per la tv per il quale ha effettivamente preferito firmarsi “Jean C. Comar”.

COS’HO IMPARATO: difficile che un videoclipparo di scuola Besson possa diventare il nuovo Christopher Nolan.

LEGGI TUTTI I POST DELLA RUBRICA “SECONDA OCCASIONE”

Vi invitiamo a scaricare la nostra APP gratuita di ScreenWeek Blog (per iOS e Android) per non perdervi tutte le news sul mondo del cinema, senza dimenticarvi di seguire il nostro canale ScreenWeek TV.

ScreenWEEK è anche su Facebook, Twitter e Instagram.

L'annuncio si chiuderà tra pochi secondi
CHIUDI 
L'annuncio si chiuderà tra pochi secondi
CHIUDI