Schiavi di New York #11 – Il colpo della metropolitana

Schiavi di New York #11 – Il colpo della metropolitana

Di Adriano Ercolani

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La rivoluzione produttiva e conseguentemente estetica che ha ribaltato il cinema americano a partire dalla seconda metà degli anni ’60 non ha stravolto tanto le regole del cinema d’autore, comunque già al tempo quasi impossibili da rinchiudere in un dogma, quanto piuttosto quelle delle produzioni di genere. Soprattutto la scomparsa (o quasi) dell’idea di cinema realizzato in studio ha ridefinito il realismo della Hollywood più commerciale. Nel campo del thriller urbano, in particolar modo quello di ambientazione newyorkese, Il braccio violento della legge (The French Connection, 1971) di William Friedkin ha definitivamente riscritto le regole del gioco portando l’azione pulsante nelle strade, nei vicoli della città. In questo nuovo filone di cinema si inserisce anche Il colpo della metropolitana (The Taking of Pelham One Two Three, 1974) di Joseph Sargent, bizzarro e iconoclasta heist-movie che mescola con sorprendente brio tensione e neppure troppo velata satira sociale.

Il timing della prima sequenza è praticamente perfetto, in quanto calibrato secondo un ritmo che si avvicina al realismo della diretta, rimanendo però totalmente cinematografico nell’esposizione temporale. I criminali della banda, a cominciare da Mr. Green (Martin Balsam) e Mr. Grey (Hector Elizondo) entrano nel vagone e si posizionano nei posti strategici. A fare la differenza tra il semplice film di intrattenimento e il prodotto che cerca invece di fornire un ritratto più vero degli eventi è in questo caso la rappresentazione dei piccoli gesti, che definiscono la psicologia dei criminali: la rassegnazione pacata di Balsam al suo tormentoso raffreddore, l’audacia di Helizondo che molesta la bella hippie. In seguito scopriremo anche la rudezza di Mr. Brown (Earl Hindman) ma soprattutto la tensione energica e concentrata di Mr. Blue (Robert Shaw), che si sgranchisce sulla banchina prima di salire a bordo. Una volta presentati i personaggi nelle loro dominanti psicologiche, l’orchestrazione della scena in cui i quattro “prendono” il treno numero 6 che si dirige verso downtown Manhattan è semplicemente da manuale: montaggio che lavora come un timer, angolazioni precise, grande illuminazione naturale ma anche “fredda” di un genio della fotografia come Owen Roizman. Ci troviamo di fronte a cinema di genere, certo, ma realizzato con maestria superiore.

Il contraltare perfetto per il rigore militaresco di Mr. Blue e della sua banda è genialmente rappresentato Walter Matthau, icona incontrastata e manifesto di un tipo di attori che ama giocare con i propri ruoli, non prendendosi mai troppo sul serio. Il suo tenete della polizia metropolitana Zachary Garber sta schiacciando un pisolino involontario quando viene svegliato per la più importante delle missioni: fare da guida ai colleghi giapponesi venuti in visita alla stazione centrale di New York. Un piccolo espediente per mostrare la pigrizia indolente dei colleghi americani nella sala dei comandi. Che l’attore lanciato nella commedia da Billy Wilder sia il radicale ribaltamento del suo avversario Robert Shaw lo capiamo dal primo, magnifico a distanza tra i due: elegante e freddo Mr. Blue, sornione e quasi annoiato Garber. In questi due personaggi ma forse soprattutto nei grandi attori che li interpretano sta la doppia anima de Il colpo della metropolitana.

La forza del film, come del miglior cinema di genere del decennio, sta in un senso della progressione drammaturgica che il cinema contemporaneo di genere sembra avere ormai perso, salvo pochissime eccezioni (pensiamo soprattutto a Michael Mann). Il colpo della metropolitana costruisce la tensione poco a poco invece di far esplodere l’azione, in modo da poter esporre in maniera più precisa sia il tono del racconto che le psicologie dei personaggi. Ben presto infatti il lungometraggio trova un equilibrio quasi stonato tra la tensione del thriller e una soave leggerezza data dai personaggi di contorno. Alla compostezza quasi militaresca dei rapitori ad esempio si contrappongono gli ostaggi la cui reazione in alcuni di essi è da veri newyorkesi: ci si preoccupa principalmente di arrivare in ritardo! La rappresentazione della vita sotterranea della metropoli, dell’umanità assurdamente assortita che prende la metropolitana ogni giorno, è ciò che rende il film di Sargent uno spaccato ancora oggi vero di quale sia lo spirito di questa metropoli.

Con l’assassinio a sangue freddo del supervisore del vagone da parte di Mr. Grey il tono del racconto cambia improvvisamente, entrando di prepotenza nel sotto-filone dell’heist-movie con ostaggi. Per allentare la claustrofobia del vagone fermo nel sottosuolo Sargent non adopera soltanto la sala controlli dove Garber e gli altri cercano di trattare con i rapitori, ma sceglie di mostrare anche ciò che succede in superficie: oltre alle forze che si mobilitano incontriamo, e non poteva essere altrimenti, anche il sindaco di new York che…è a letto con l’influenza. Tale espediente satirico rappresenta la metafora di un momento storico in cui la gente comune aveva perso quasi completamente fiducia nelle autorità costituite (ricordiamo che Il colpo della metropolitana arrivò nelle sale americane meno di due mesi dopo le dimissioni del Presidente Richard Nixon in seguito allo scandalo Watergate). L’immobilismo del sistema politico americano, in quel momento terrorizzato dall’idea di commettere qualsiasi tipo di errore per essere poi esposto al pubblico ludibrio, viene rappresentato dal consiglio a casa del sindaco in cui nessuno si prende il coraggio di esporre la propria idea riguardo pagare o meno il riscatto richiesto dai criminali. “Governiamo una città, non una democrazia!” Sentenzia il consigliere del sindaco (Tony Roberts) sboccando una votazione impetrita dal timore. Alla fine il sindaco voterà per il pagamento del milione di dollari solo perché gongolante all’idea di salvare la vita a suoi potenziali futuri elettori…

Per accentuare il realismo della situazione l’adattamento cinematografico del romanzo di John Godey scritto da Peter Stone sceglie di lavorare sui contrasti, sia psicologici che narrativi. Dopo la barbarie del primo omicidio a sangue freddo infatti la storia propone una decelerazione nella scena umanissima in cui Mr. Blue e Mr. Grey si aprono l’un l’altro, nell’attesa che il bottino venga loro consegnato. A ribadire poi che vittime e carnefici non sono poi così diversi nel gioco di ruoli che New Yorsk stessa ama spesso sovvertire, uno degli ostaggi chiede a quanto ammonta il riscatto, curioso di sapere il suo valore in moneta sonante. Alla stasi del sottosuolo poi Sargent alterna con perizia l’azione convulsa della superficie, dove la polizia tenta di battere il traffico e consegnare il denaro prima dello scadere dell’ultimatum. In questi momenti possiamo assistere a un’esposizione quasi verista delle strade della città che verrà portata ai massimi livello l’anno successivo con Quel pomeriggio di un giorno da cani (Dog Day Afternoon, 1975) di Sidney Lumet.Intanto nella sala comandi della MTA si svolge un’altra battaglia, quella sarcastica tra Matthau che pensa agli ostaggi e l’altro poliziotto che invece si interessa soltanto di come gestire la temibile rush hour della città. In un certo senso è questo il vero duello per l’anima di New York…

Ricordato quasi soltanto dai cultori del genere, rifatto nel 2009 dal compianto Tony Scott con protagonisti Denzel Washington e John Travolta, The Taking of Pelham One Two Three è un piccolo gioiello di lucidità cinematografica applicata al prodotto di largo consumo. Un divertimento frizzante da riscoprire non fosse altro che per constatare tristemente quanto il sistema metropolitano newyorkese non sia poi così evoluto dal lontano 1974…

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