La Storia dietro un Frame: Il Laureato e il finale appeso ad un “CUT!”

La Storia dietro un Frame: Il Laureato e il finale appeso ad un “CUT!”

Di Filippo Magnifico

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I set dei film sono pieni di aneddoti più o meno interessanti. Alcuni sono noti, altri meno. Partendo da un frame, da una semplice immagine, si possono scoprire le storie più particolari. Questo perché dietro il semplice fotogramma di una pellicola si può nascondere un mondo. È questo il caso del Laureato e del finale appeso ad un “CUT!”.

La prima proiezione de Il Laureato, nel 1967, fu accolta da una standing ovation. Solo l’inizio di una lunga lista di soddisfazioni raccolte dal film nel corso degli anni.
Ma la soddisfazione più grande, all’epoca, toccò al giovane e sconosciuto protagonista Dustin Hoffman, che per la prima volta si era cimentato con un ruolo importante. La leggenda narra che dopo la première del film, mentre la sala si stava svuotando, una giornalista si avvicinò a lui chiedendo:

Lei è il giovane del film?

La conferma fu seguita da una frase decisamente importante:

La sua vita non sarà più come prima.

E possiamo dire con assoluta certezza che la giornalista aveva ragione. Per Dustin Hoffman quello fu solo il primo passo di una carriera all’insegna del successo. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per la storia del cinema qualcuno potrebbe dire, perché Il Laureato ha sul serio segnato un’epoca, facendosi portavoce di un’ondata di ribellione che da lì a poco tempo avrebbe segnato profondamente la storia (non solo) americana.

Il perfetto connubio tra erotismo e ironia che si percepisce in ogni momento che coinvolge il giovane Ben e Mrs. Robinson (una bellissima, anche se il termine è riduttivo, Anne Bancroft). Il raggiungimento di una maturazione sessuale e personale che va al di là del semplice “farsi una donna più grande”. La rabbia, l’essere “ribelle senza una causa” se non quella di andare contro una generazione – quella degli adulti – con cui è diventato impossibile comunicare. E, ovviamente, la splendida colonna sonora di Simon & Garfunkel.

E parlando di ribellione, è impossibile non citare lo splendido finale, in cui Ben fa di tutto per ritrovare la donna che ama (Elaine, la figlia di Mrs. Robinson, interpretata da Katharine Ross). La raggiunge in chiesa, nel giorno del suo matrimonio. Lei ha appena detto il fatidico “sì” ma decide lo stesso di fuggire con lui.
Tra la confusione generale i due barricano sposo, parenti e invitati all’interno della chiesa, bloccando l’unica via di uscita con una croce (un momento che grida METAFORA! in caps lock).
Salgono su un autobus e partono, senza una meta precisa, lei con l’abito nuziale, lui con la giacca a brandelli. Si guardano, ridono, diventano improvvisamente seri, mentre l’autobus si allontana.

Quei volti seri, quasi tristi, da sempre hanno alimentato la fantasia di critica e pubblico. Si possono interpretare in moltissimi modi ed è proprio su quelle espressioni che abbiamo deciso di soffermarci oggi.
Immaginate di guardare quella scena proprio in questo preciso istante. Bene, è arrivato il momento di premere il tasto pausa e tornare indietro nel tempo.

Sono gli anni ’60. Il produttore Lawrence Turman ha da poco acquistato i diritti de Il Laureato, il romanzo scritto da Charles Webb. Non è il suo libro preferito ma da quando l’ha letto non riesce più a togliersi la storia dalla testa e ha deciso, quindi, di investire 1000 dollari per portarla sul grande schermo. Ha già in mente il regista, Mike Nichols, che è poco più di un esordiente, dato che ha diretto un solo film, ma può vantare una lunga esperienza teatrale e Turman pensa che sia la persona giusta per trasformare in immagini quelle pagine. Buck Henry sale a bordo come sceneggiatore e il film comincia a prendere forma.

Manca il cast ma tutti hanno le idee chiare. I protagonisti devono essere californiani, devono essere i classici “tipi da surf“, aitanti, alti, biondi. Per il ruolo del giovane protagonista Ben, soprattutto, hanno in mente un volto come quello di Robert Redford. Tutto bene, finché non si trovano di fronte Dustin Hoffman. Il suo provino è perfetto, capiscono che Ben deve essere lui, con quell’aria un po’ da Charlie Chaplin e quella rabbia pronta ad esplodere da un momento all’altro. Certo, tra lui e Robert Redford c’è un abisso ma basta cambiare il cast e mettere da parte i “tipi da surf” per iniziare le riprese.

Prima, però, le prove. Nichols proviene dal teatro, proprio per questo prima di accendere la macchina da presa “costringe” gli attori a provare negli studios ogni singola scena, per tre settimane. Una tortura? No, perché una volta arrivati sul set tutti conoscono alla perfezione il copione e sono pronti per dare il massimo. Così da marzo ad agosto del 1967 si svolgono le riprese del film. Si segue la sceneggiatura ma si lascia anche spazio all’improvvisazione, si coglie il momento. Mike Nichols adora sperimentare, il suo modo di lavorare si basa anche – forse soprattutto – sull’intuito.

Scena dopo scena, fino al finale, che vede i due innamorati fuggire dalla chiesa e salire al volo su un autobus, destinazione ignota. Il copione è molto chiaro: devono stringersi la mano e nell’ultima inquadratura si devono vedere gli invitati al matrimonio, intenti ad agitare i pugni per aria giurando vendetta su quel ragazzo impertinente.

Mike Nichols, però, non può effettuare le riprese a bordo dell’autobus e chiede quindi a Sam O’Steen, il montatore, di sostituirlo. Si tratta di una compito molto semplice, non deve fare altro che seguire quello che c’è scritto sul copione.
E Sam segue il copione, ma non è un regista e non si ricorda che ad un certo punto deve gridare “CUT!” per dare lo stop e permettere agli attori di uscire dal personaggio. Così Dustin Hoffman e Katharine Ross restano lì, uno accanto all’altra, sorridono, fanno quello che c’è scritto sul copione in attesa di un segnale che, però, non arriva. Passano i secondi e il sorriso sul loro volto scompare. Non possono muoversi perché non è ancora stato urlato “CUT!“, quindi attendono.

Una volta visto il girato, Mike Nichols e Sam O’Steen capiscono di trovarsi di fronte ad una grande scena, il loro sguardo perso riassume alla perfezione l’incertezza dei due sul loro destino, riassume alla perfezione l’incertezza di un’intera generazione. Decidono, quindi, di terminare così il film.

La critica e il pubblico si sono interrogati per anni su quegli sguardi dubbiosi, sul loro significato. Ma la verità è che, semplicemente, si tratta di due attori che ormai hanno smesso di recitare e sono lì, in attesa di un segnale.
Perché nessuno ha ancora gridato ‘CUT’?” pensano. Perché il destino ha deciso che quello sarà uno dei finali più belli della storia del cinema.

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Anche oggi siamo giunti alla fine del nostro appuntamento, anche oggi abbiamo scoperto che basta soffermarsi su di un singolo frammento di pellicola per scoprire un mondo. La settimana prossima ci attenderà un nuovo frame, una nuova storia.

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